Se lo chiesero ad Annozero con Santoro, se lo chiedono gli abitanti della Val d'Agri, se lo chiede forse anche il PM di Potenza Henry John Woodcock, forse se lo chiedono anche i Castronovesi...

Dal Corriere della sera del 22 Settembre

Il numero dei barili? Un mistero. Sulla questione indaga anche il pm Woodcock. Gli interessi di coop rosse e finanziarie straniere... POTENZA — Il «giallo dell'oro nero» non è un gioco di parole. In Basilicata è, al tempo stesso, una serie di domande scomode ancora senza risposta e un'inchiesta giudiziaria complessa, a cui sta lavorando il pm di Potenza, Henry John Woodcock.

Prima domanda: quanto petrolio è stato estratto in Basilicata dal 1995 a oggi? Nessuno lo sa con precisione. Nemmeno il presidente della giunta regionale, Vito De Filippo, che infatti lo ha chiesto all'Unmig (l'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e la geotermia, presso il ministero dello Sviluppo economico) il 20 settembre 2007. Ma nella risposta dell'Unmig, fra tabelle e spiegazioni varie, non c'è il dato richiesto. Come mai? Semplice: quel dato non è mai stato verificato dall'Unmig. Nessuna omissione, perché l'Unmig «ha facoltà», non il dovere, di verificare le quantità prodotte. Ma un enorme conflitto d'interessi, quello sì. Infatti, a comunicare all'Unmig le quantità di petrolio estratto è «il responsabile unico di ogni concessione». In altri termini, il controllore è lo stesso soggetto che dovrebbe essere controllato: l'unico a misurare il petrolio estratto è proprio colui che paga le royalties. Infatti i 30 comuni lucani a cui va il 15% di quel 7% che costituisce la royalty sul valore del greggio ricevono direttamente dall'Eni l'estratto conto, in cui si dice: questa è la quantità che abbiamo prodotto e questo è quanto spetta a voi. Punto. Ma se un comune o la Regione volessero controllare? L'unica cosa che possono fare è rivolgersi all'Unmig, che però «ha facoltà» di controllare e in ogni caso difficilmente potrebbe farlo per il passato.

Seconda domanda: quanto petrolio estratto in Lucania è finito in Turchia? E perché vendere petrolio alla Turchia proprio mentre il prezzo del greggio saliva alle stelle? Terza domanda: è vero o no che in questi anni centinaia di migliaia di tonnellate di stream gas (metano, etano, propano, butano), cioè quel gas che viene fuori assieme al petrolio, e definito «cedibile» dalla stessa Eni, è stato lasciato bruciare in torcia e quindi si è volatilizzato? Anche a queste domande, sembra che nessuno sappia rispondere. Nemmeno il governo e il Parlamento, a cui si sono rivolti con due interrogazioni i parlamentari Felice Belisario (Idv) e Cosimo Latronico (Pdl), che hanno sottolineato come in tutte queste vicende «è mancata l'adeguata trasparenza a garanzia dei cittadini».

Eppure le compagnie petrolifere, per il 2008, attraverso la cosiddetta Legge-obiettivo, hanno ottenuto come incentivo 850 milioni di euro di fondi pubblici. Ma c'è anche una quarta domanda: che cosa c'entrano le Coop rosse, le Isole Vergini, le Bermuda e l'Australia con i permessi di estrazione del petrolio in Basilicata? Secondo una ricostruzione del settimanale lucano Il Resto, suffragata da una ricca documentazione, tutto comincia nel 2005, quando la società Gas della Concordia Spa (poi Coopgas), di Concordia sul Secchia (Modena), cede per 11,2 milioni di euro alla sua controllata Intergas Più permessi di estrazione e di ricerca. Passano otto giorni e la Mediterranean Oil and Gas Company, società con sede a Perth, in Australia, acquista, per diecimila euro, cioè per un prezzo diecimila volte inferiore a quello della compravendita Gas Concordia-Intergas, l'Intergas Più. Strano. Ma non è l'unica stranezza. Il pagamento avviene con la sottoscrizione di azioni e obbligazioni convertibili da parte di tre società: la Mizuho International, con sede a Londra, la Shepherd Investments International, con sede nelle Isole Vergini Britanniche, e la Stark Investment, con sede nelle Bermuda. L'obiettivo di Med Oil è il giacimento di Monte Grosso (100 milioni di barili stimati) e viene centrato il 5 novembre 2007, quando la giunta regionale delibera di concedere i permessi di ricerca. Nella stessa giornata, Med Oil e Gas Concordia Spa scambiano diecimila azioni. Ma già tre settimane prima, il 19 ottobre, erano state scambiate ben 2.373.000 azioni, per un valore di 369 milioni di sterline, pari a 500 milioni di euro. Segno che a Monte Grosso c'era ben poco da «ricercare». Ma solo da scavare. Là sotto, il petrolio stava aspettando chi sapeva che c'era.

L'inviato del Corriere della Sera - CARLO VULPIO