La storia, vista da Enzo Appella, di Domenico Tallarico e Concetta Arleo meglio conosciuti come Mincuccio e Cuncetta...

 

In questo periodo di feste, di ritrovi, di focolare, ma anche di luci, di consumismo, di sprechi, ritorna in mente la figura di due “personaggi” del passato recente che vivevano a Castronuovo e che ogni mattina, ma soprattutto tra Natale e Capodanno, uscivano dalla loro misera casa, un’unica stanza, ed andavano in giro per il paese con la speranza di ricevere, senza mai chiedere, un pezzo di pane, un uovo, un po’di formaggio. Altre volte si avventuravano per le strade di campagna ad inseguire chissà quali sogni (l’America) e qualche volta riuscivano a raggiungere a piedi, anche i paesi più vicini.
Furono trovati anche nei pressi del Campo sportivo di Roccanova dove stanchi e sfiduciati, vennero prima rifocillati e poi accompagnati a Castronuovo.
Mincuccio e Cuncetta, per l’Anagrafe: Domenico Tallarico e Concetta Arleo, erano sposati a tutti gli effetti e non si separavano mai.
Lui camminava avanti e lei un po’ più indietro o viceversa, si raggiungevano e si sorpassavano a vicenda senza esagerare, come legati da un filo che non permetteva allontanamenti oltre una misura ben determinata. 
Vivevano così, con ogni tipo di tempo e di stagione, perennemente in moto,con indumenti logori, ricevuti in regalo ed indossati in posizioni invertite, la camicia sopra la giacca, oppure ad un piede la ciabatta e all’altro lo stivale.
Nonostante tutto, lui non era brutto,col suo barbone, ricordava vagamente Garibaldi,era anche dotato di molta forza e spesso trasportava sacchi pesantissimi per meritarsi qualcosa in cambio. Lei non era bella, ma di questo non era consapevole e quasi ad ogni casa chiedeva lo “scaraturo”, il pettine ed intanto abbozzava, con grazia selvaggia e primitiva, il gesto del pettinarsi, anche se i suoi capelli si erano ormai trasformati in una sorta di casco rigido.
Da quando si era sposata, viveva nella dolcissima attesa di un figlio e quando qualche buontempone, per ridere, chiedeva quando sarebbe nato, ella rispondeva decisa “l’ann che vene” (l’anno prossimo) e poi, con una mano sul grembo, continuava ad aspettare.
A modo loro avevano creato una famiglia unita, a dispetto della miseria, della gente, del caldo e del freddo,probabilmente erano depositari di una felicità pura, ingenua, disinteressata, dignitosa e quindi ancora più vera e nobile.
Ogni tanto raccoglievano qualche straccio e si allontanavano dal paese per raggiungere l’America e in un giorno di rigido inverno, telefonarono dal Comune di Sant’Arcangelo perché avevano trovato Mincuccio e Cuncetta svenuti, ai bordi della strada, seminudi e congelati dal gran freddo. Avevano camminato tutta la notte, percorrendo quasi 30 chilometri, con in mano una valigia rotta, vuota e senza manico, tra neve e ghiaccio. Partirono da Castronuovo per andarli a riprendere e già nel viaggio di ritorno la guardia comunale si accorse che avevano febbre alta e stavano molto male. Portati a casa, le persone del paese, che spesso li avevano presi in giro, questa volta fecero a gara per aiutarli con piatti caldi, pulizie varie, biancheria e Mincuccio, nel Giovedi Santo, fece anche la parte dell’Apostolo Pietro.
Ma non stavano più bene e si decise di mandarli in Istituto a Potenza ed essi partirono, pensando, ancora una volta, di andare in America.
A Potenza furono separati e questo fatto decretò la loro fine. Nel 1971, a distanza di circa un mese, morirono tutti e due.
In paese è ancora vivo il ricordo, anche tra i giovani che ne hanno solo sentito parlare, tanto che un gruppo di universitari di Bologna, guidati dal castronovese Francesco Di Sirio e con la partecipazione di Tonino Cranco e Carmela Bulfaro, hanno addirittura portato in scena,con tenerezza e poesia, i momenti salienti della loro vita e il dramma della separazione, realizzando anche un piccolo DVD.
Nella prefazione al libro “Il paese,la memoria-120 anni di vita a Castronuovo di Sant’Andrea”, il nostro critico d’arte Prof. Giuseppe Appella ha così fermato la loro immagine: ”Mincuccio, occhi mansueti a porgere un saluto e un sorriso, spezzava il pane come un apostolo, ne dava una parte a Concetta, fermava il suo pezzo tra due dita: le molliche venivano risucchiate dalla bocca come una preghiera sottovoce”.

Enzo Appella