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Quando agli inizi degli anni Settanta sente l’esigenza di virare verso un desueto e modulato rabesco che fa pensare a una crisi espressiva, ogni occasione di affrontare esperienze cònsone ad aprirgli nuovi e più vasti se non inediti orizzonti viene salvata dal non cedere alla componente allusiva e rappresentativa, anche se può sembrare il contrario, a favore di una sofferta emancipazione cromatica che afferra subito l’importanza della macchia, della chiazza di colore cara al tachismo, facendone una essenza della trama tissulare delle sue textures, quasi si fosse servito, come avverrà in seguito con Giuseppe Penone, di fragili materiali vegetali, di microrganismi, per un magico quanto effimero catalogo delle meraviglie. Le antitesi, tuttavia, anche se non esibite, sono evidenti a partire dal 1957, quando l’organismo centrale del groviglio dei segni, tra emozione e imperturbabilità, pieno e vuoto, automatismo e controllo stilistico, piacere visivo e assenza, compenetrazione e contrasto, si instrada verso un equilibrio o un amalgama degli acuminati frammenti d’esistenza. Diventa subito palpabile, da quel momento, l’immediatezza dell’opera, la visione dell’”isola” dove brucia e si consuma la nostalgia della forma.
In una corretta inquadratura storica, quindi, la prerogativa di Sanfilippo è quella di essere l’iniziatore di uno stile, lo scopritore di un nuovo universo di segni teso ad accelerare le sue facoltà di rigenerazione attraverso una duplice strada: la scelta del materiale cromatico (inchiostro, pastello, tempera) vissuto fisicamente, quasi fuoriuscisse dalle dita, e l’immagine che ne consegue, casuale e metodica connessione delle parti di un tutto organico nel quale, uomo e natura ricondotti a un solo ordine o radice sentimentale, non è difficile leggere memorie fugaci di numerosi spazi in cui si inabissano, allungati - allineati - alternati – fluidificati- iterati-disfatti, presenze spettrali (paesaggi mentali senza orizzonti, paesaggi ideali, modellini di una città futura, filamenti d’atomo?) o assurde (personaggi elementari, organismi animali?) fluite da gesti precisi, pronti a prendere coscienza del nulla, a captare ogni sommovimento interiore o il più piccolo segnale di assonanza cosmica, ad attraversare tutti i cunicoli inesplorati della conoscenza. Non a caso, infatti, la luce esterna all’immagine dipinta viene purificata dalla luce interna che, in un rapporto dialettico reso tale dal ritmo elastico del movimento, trafora o dilata l’intreccio fitto, pressoché sospeso, raccolto sul bianco della carta o della tela appena preparata.”

La mostra resterà aperta fino 5 maggio 2011.

PINO DI SARIO