Nicola declinò le sue generalità, protestò invano il suo onore e la sua innocenza, ma non aveva addosso documenti di identità, fu arrestato e portato in prigione. Il racconto procedeva con dovizia di particolari e con commenti sottolineati da esclamazioni di stizza ed anche da qualche mia risata quando arrivava ai momenti più tragici e più buffi della vicenda quali lo spavento della comàre e l’arresto di Nicola.
Eravamo giunti nel frattempo alla casa dove ci stavano aspettando; ci fecero entrare e volevano offrirci un rosolio che rifiutammo.
Io visitai la ragazzina per la quale ero stato chiamato: aveva un’enterite febbrile. Prescrissi le medicine occorrenti e dètti consigli sui completamenti igienici ed alimentari della terapia. In casa faceva molto caldo e ce ne volevamo andare subito, per uscire all’aria aperta, ma non ce lo permisero; avevano apparecchiato un tavolo sotto la quercia che stava dietro la casa, nell’ombra rinfrescata da una brezza leggera che al sole non si sentiva. Ci portarono pane casereccio, due uova al tegamino, formaggio di pecora e del vino che sapeva troppo di zolfo, ma era fresco di cantina.
Mangiando, tra un boccone ed un sorso, Nicola concluse il racconto: il giorno successivo all’arresto, il compare aveva fatto ritorno a Montescuro e si era recato subito in caserma per chiarire tutto ai carabinieri. Tirarono il povero Nicola fuori dalla guardina, gli fecero tante scuse e gli consigliarono di non andare mai più in giro senza documenti.
Dopo quella brutta avventura, Nicola si dette da fare per ottenere dal Comune la Carta di Identità e per prima cosa si recò a Sinipoli da un amico fotografo, ma rimase male, molto male, quando seppe il prezzo da pagare per la fotografia.
<<Dieci lire!... capite, dotto’? A quei tempi!... dieci lire!>>
Se ne andò urtato e poiché a San Michele, n altro grande paese della zona, aveva un secondo compare che faceva il fotografo, si recò da lui il giorno seguente.
<<Dotto’, dieci lire anche il compare!... Pareva che si fossero messi d’accordo! Allora mi arrabbiai e gli gridai in faccia che un prezzo così non si poteva pagare! Che era una truffa!>>
Il compare gli aveva risposto chiedendo che cosa pretendesse per dieci lire forse la macchina? Il compare ne aveva una vecchia da cedere; insomma una parola tira l’altra, finì che Nicola si portò la macchina a casa per cento lire. Avute tutte le istruzioni necessarie, non gli risultò difficile fare fotografie che allora si facevano al sole e venivano fuori, che erano una meraviglia, di uno splendido colore marrone.
<<Avete sentito dotto’, come ho fatto a diventare fotografo? Pe’ currivo!>>
<<Cosa dici Nicola? Non ho capito… che significa?>>
<<Come vi devo dire… per rabbia!... per dispetto!... Insomma come se uno dicesse: allora, visto che è così, ora ti faccio vedere io!... Pe’ currivo, dotto’, e non me ne lamento perché con questo mestiere in mano ho guadagnato qualche soldo, soprattutto in giro nelle piazze dei paesi quando ci sono le fiere>>.
Avevamo finito di mangiare e zio Nicola mi aveva raccontato per quali vie bizzarre si può giungere ad esercitare un mestiere. Morì per un infarto, in ospedale, circa dieci anni dopo; mi risulta che, attraverso altre misteriose vie, era giunto a fare per qualche anno un ennesimo lavoro, quello di postino.(Fine)
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