L’asciutta eleganza di Irving Penn

Eccezionale antologica a Palazzo Grassi di Venezia 

La sua autodisciplina e il suo autocontrollo – scriveva nel 1984 di Irving Penn (Plainfield, New Jersey, 1917 – New York 2009) il mitico John Szarkowski, dal 1962 al 1991 direttore della Fotografia al MoMA di New York – “sono leggendari; all’età di sessantasette anni le sue facoltà e il suo riserbo sembrano intatti… Fino ad oggi ha mostrato, nell’ambito della fotografia della nostra epoca, ciò che quasi tutte le arti in quasi tutte le epoche devono imparare di nuovo: che la serietà artistica può redimere ciò che è apparentemente irrilevante”.

Le intuizioni artistiche di Penn hanno modificato la nostra percezione della realtà, con un linguaggio improntato alla sobria eleganza della chiarezza, alla grazia del suo stile.

****L’evidenza del suo concepire e praticare la fotografia si coglie a pieno nella sua originale capacità di ritrattista, pronto a cogliere quel carattere del soggetto a lui di fronte che lo rendeva realmente unico, rappresentandolo fotograficamente con una (forse) “studiata” semplicità. Che si riverbera nel modo di affrontare anche nell’ambito più “professionale” del suo lavoro, primo fra tutti quello della moda; qui, specie durante la collaborazione con “Vogue” egli si concede il “lusso” si semplificare, togliere “effetti speciali” o tentazioni sofisticate alle sue immagini. Nello still life il suo linguaggio si fa più ricercato, decisamente orientato verso l’astrazione.

****Con il titolo “Irving Penn. Resonance”, e a cura di Pierre Apraxine e Matthieu Humery (catalogo Skira) Palazzo Grassi a Venezia presenta una grande mostra a lui dedicata: 130 foto dagli anni ‘40 agli ’80. In un percorso rappresentativo della sua visione,  la mostra consente di scoprire il volto meno apparente e “visibile” dei suoi più svariati soggetti, facendone percepire il senso dell’effimero e della vita colta in tutta la sua fragilità; effimero e fragilità che non sono però solo delle cose e della vita, ma della stessa loro percezione. L’ampio panorama, in cui immagini poco conosciute affiancano pezzi iconici, offre una chiara testimonianza della particolare capacità di sintesi che caratterizza il lavoro di Irving Penn: nella sua visione, la modernità non si oppone necessariamente al passato, e il controllo assoluto di ogni fase della fotografia, dallo scatto alla stampa (alla quale dedica un’importanza e un’attenzione senza pari) permette di andare molto vicino alla verità delle cose e degli esseri viventi, in un continuo interrogarsi sul significato del tempo e su quello della vita e della sua fragilità. Ha scritto: “Per me la fotografia non è niente di nuovo. La macchina è nuova, ma la fotografia è solo lo stadio attuale della storia visiva dell’uomo”.

****Penn era un eccezionale ritrattista che riusciva a cogliere l’unicità del soggetto che aveva di fronte, quel carattere che lo rendeva realmente unico, ed a rappresentarlo fotograficamente con una semplicità ed una sensibilità incredibili; il che sembra rievocare ciò che del ritratto fotografico diceva un altro grande maestro dell’obiettivo, e cioè l’amburghese Herbert List, quando affermava: “L’essenza di una personalità può essere colta nel tempo di una posa”. Un processo complesso e simile anche alla percezione dell’attimo irripetibile di Cartier-Bresson, una sensibilità spesso inconsapevole, ma capace di creare immagini uniche. Penn stringe la collaborazione con “Vogue” durante la seconda guerra mondiale e in questa intensa collaborazione egli ricerca immagini che contribuiranno alla modificazione del costume, imponendosi come fotografo inimitabile e in qualche modo “ufficiale” dell’immagine della donna americana emancipata, che dagli Stati Uniti strariperà anche in Europa e negli altri continenti. Si permette il lusso di semplificare, essenzializzare e svincolare l’immagine da luci, location e sofisticazioni particolari, proiettando un volto o una figura oltre il tempo, la storia, la cronaca, proiettandolo in una realtà metafisica. Negli anni ’50 comincia ad orientare la propria attenzione sul nudo, con immagini estremamente innovative che rompono con gli schemi classici e consolidati dell’epoca; corpi morbidi e sinuosi ma lontani dal messaggio sessuale, dove predomina il lindore dei toni e delle luci, on un fantastico e sapiente gioco dialettico di luci e ombre. Famose le sue immagini dei “Petit Métiers” (piccole aziende); racconti delle professioni con la massima attenzione alla luce e con contrasti sapientemente plasmati e funzionali a raccontare a suo modo un’esperienza di vita.

****Assai famosi anche i suoi still life che raccontano storie utilizzando linguaggi particolarmente ricercati e raffinati, usando spesso oggetti di scarto il cosiddetto “Street Material” (molto noto il suo ciclo presentato dal Metropolitan Museum di New York nel 1977): teschi, avanzi, materiale in decomposizione, dove spesso sono presenti l’elemento astratto, il senso del disfacimento ineluttabile dei corpi, l’antropomorfizzazione degli oggetti, come nelle immagini realizzate per “Clinique”, marchio che lo ha visto testimonial per ben trenta anni.

MICHELE DE LUCA