Un volto poco noto della città lagunare durante la “Grande Guerra”

Venezia, la grande paura

Rare fotografie in mostra alla Casa dei Tre Oci all’isola della Giudecca

*****Era il 24 maggio del 1915: alle tre e trenta, a poche ore dalla dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria-Ungheria, due aerei austro-tedeschi apparvero nel cielo di Venezia e sganciarono sulla città quindici bombe. Si trattava del primo inequivocabile segnale che anche la città lagunare sarebbe stata duramente coinvolta nel tragico conflitto che da diversi mesi stava infiammando l’intero continente europeo.

Oltre alla difesa delle postazioni militari e delle popolazioni civili, a Venezia si provvide anche a salvaguardare l’ineguagliabile e davvero “unico” patrimonio architettonico e artistico con protezioni che potessero attutire gli effetti devastanti delle bombe lanciate dagli aerei nemici; protezioni realizzate con barriere anti-urto e sacchi di sabbia. La basilica di San Marco e la base del campanile, “el paròn de casa”, vennero ingabbiati con una palizzata protettiva; per il celebre monumento del Colleoni in Campo Santi Giovanni e Paolo fu costruita in legno una copertura imbottita. Ma, nonostante le più premurose precauzioni, Venezia fu barbaramente ferita dalle operazioni aeree della “grande guerra”, di cui, l’anno prossimo, cadrà il centenario del suo inizio.

****I danni furono notevoli e tremendi, come si può vedere visitando la mostra “Venezia si difende”, curata da Claudio Franzini e allestita alla Casa dei Tre Oci,

splendido gioiello dell’architettura veneziana di inizio ‘900 nell’isola della Giudecca, con foto provenienti dagli archivi della Fondazione Venezia e dei Musei Civici Veneziani, dalle quali con l’efficacia inarrivabile delle immagini si può ripercorrere la storia dei terribili quattro anni di una città in assetto di guerra, che nonostante tutte le protezioni poste in essere subì danni gravissimi: desolante è lo “spettacolo” di chiese devastate come gli Scalzi, dove andò irrimediabilmente distrutto l’affresco del soffitto opera di Giambattista Tiepolo, Santa Maria Formosa, San Lorenzo, di “fondamenta” e “campi” presso la ferrovia e il Ponte di Rialto. E poi c’è la sofferenza e la paura della gente (civili davanti all’ambulatorio in Corte dell’Albero), oltre alla partecipazione della popolazione nel supportare le nostre truppe (il laboratorio allestito al Teatro La Fenice per la confezionatura di biancheria e vestiti per i soldati al fronte).


****Attraverso una selezione di oltre trecentocinquanta foto originali, conservate nell’Archivio Storico Fotografico della Fondazione Musei Civici di Venezia con sede a Palazzo Fortuny, la mostra (fino all’8 dicembre) vuole offrire una Venezia dall’aspetto assolutamente insolito rispetto al suo volto bellissimo e rassicurante immortalato, lungo i secoli, da grandi pittori e, a partire dalla sua invenzione, da fotografi di tutto il mondo, imponendosi come la città più fotografata e fotogenica del pianeta; l’aspetto di una città che corre, nei quattro anni del conflitto, il serio pericolo di essere “ferita a morte”, come diceva il titolo del più celebre romanzo di Raffaele La Capria; con una perdita di bellezza, di arte e di cultura che sarebbe stata inferta non solo agli abitanti della città, ma al mondo intero. Un pericolo, purtroppo, a cui Venezia,in qualche modo è stata sempre esposta per altre cause; da ultimo con l’incubo non risolto del passaggio delle “grandi navi” nel Bacino di San Marco e nel Canale della Giudecca. La selezione di immagini intende offrire un’esaustiva panoramica sulla drammaticità degli eventi accaduti e pertanto di non disperdere né la prospettiva storiografica né quella sedimentata nella nostra memoria collettiva.

****L’iter espositivo, che si articola in quattro sezioni, racconta ampiamente le strategie difensive attuate, la complessa attività di protezione preventiva dei monumenti con le “saccate” e le murature di rinforzo, la rimozione dei preziosi tesori artistici, la trasformazione delle altane della città in postazioni di avvistamento e di difesa antiaerea dei fucilieri della Marina e dei volontari, i palloni frenanti che venivano innalzati per ostruire lo spazio aereo. Dall’altro lato si illustrano le difficoltà della vita quotidiana: l’oscuramento, i rifugi, gli ospedali, la rimozione delle macerie, il ritiro dei depositi bancari dopo Caporetto. Una sezione importante è dedicata agli effetti degli attacchi aerei subiti ed un’altra, piena di curiosità, è infine dedicata alle cartoline postali.

****Enfasi ed epica militare, dunque, ritrattistica, campagne di sostegno e sottoscrizioni, compongono gli argomenti di questo corpus illustrativo, tra cui spiccano due serie dedicate a Venezia opere del veneziano Guido Cadorin e del triestino Guido Marussig, realizzate durante gli anni del conflitto. Va detto che in tutti i territori dichiarati zona di guerra era fatto assoluto divieto di eseguire delle fotografie e anche Venezia non sfuggì a questa imposizione: molte immagini in mostra, soprattutto quelle della mobilitazione generale del 1915 siano esse fotografie o cartoline postali vennero, come recita una dicitura manoscritta ad inchiostro rosso, “Sequestrate dalle Autorità”. Salvo quindi poche fotografie “firmate”,

come quelle di professionisti come Tommaso Filippi, già operatore e direttore dello Stabilimento Naya, e Aldo Cortellazzo, e Giovanni Caprioli, fotografo della Soprintendenza di Venezia, il resto è di fotoamatori ingiustamente rimasti anonimi, a cui non resta che essere grati per il loro contributo. E quindi, a maggior ragione, va sottolineato che le immagini fotografiche qui recuperate sono di un valore inestimabile. In questa interessante esposizione, corredata da un bel catalogo della Marsilio, la fotografia rivendica prepotentemente il suo insostituibile ruolo di “documento”, di “testimonianza”, riguardo a tempi in cui peraltro non c’era ancora la televisione, che va ad arricchire la memoria visiva della cronaca e della storia di un momento e di uno scenario della prima guerra mondiale, particolare e circoscritto, quanto di incomparabile carica simbolica.

MICHELE DE LUCA