(Estratto da "Fiori di Cicoria") Giuseppe e Maria erano gli scemi del paese. Quale che fosse la stagione e con ogni tipo di tempo uscivano la mattina molto presto dalla loro casa, un’unica stanza dove nessun altro entrava perché c’erano le pulci, ed andavano in giro per le strade di campagna perduti dietro a loro impensabili programmi oppure vagavano per quelle del paese, di casa in casa, tenuti sempre fuori dall’uscio ad aspettare l’elemosina:

un pezzo di pane, un uovo, un po‘ di formaggio, dei fichi, dell’uva od una mela quando ne era il tempo. Già anziani, lui cinquantenne, lei di qualche anno maggiore, erano marito e moglie da almeno vent’anni, ma in paese non si sapeva o si taceva da chi fosse stato architettato il loro matrimonio. Non era chiaro se vi fossero sotto complicate ragioni patrimoniali e verso qual nascosto fine indirizzate; la gente non le voleva conoscere, preferiva pensare che così sposati, e secondo Sacramento per non creare scandalo, Giuseppe e Maria potessero godere in un letto, anche se un po’ buffamente, le carnali gioie del matrimonio altrimenti precluse. Le apparenze sembravano confermarlo: Giuseppe a Maria stavano sempre insieme e nello stesso tempo continuamente si cercavano, lui un po’ più avanti per la strada, lei un po‘ più indietro o viceversa, si raggiungevano e si sorpassavano a vicenda senza mai distanziarsi troppo però, come fossero tenuti uniti da un legame inestensibile che non permetteva loro di allontanarsi oltre una misura ben determinata. Sapevano dire solo poche parole e quasi tutte sbagliate, ma entrambi pronunziavano bene il nome dell’altro, Giuseppe chiamava <<Maria!>> col suo vocione baritonale e Maria rispondeva <<Giuseppe!>> con la sua vocetta acuta e gracchiante di vecchia. Se avveniva che si perdessero di vista un istante, subito qualche buontempone ne approfittava per gridare a Giuseppe che si erano presi Maria e, lì stava il divertimento, Giuseppe si agitava e correva disperato qua e là urlando e minacciando fin quando non ricompariva, ignara, Maria a riportare la calma. I due poveretti vivevano così, perennemente in moto, tutti stacciati, con indumenti di ogni foggia e misura ricevuti già logori in regalo ed indossati a caso, molto spesso in posizioni invertite come per esempio un maglione di lana al di sotto  della camicia o la camicia al di sopra della giacca; campavano di carità, peggio dei cani, perché ai cani si dà da mangiare in cambio di un servizio da cane cui pur si riconosce un’utilità ed invece Giuseppe e Maria solo qualche risata potevano suscitare fra la gente che aveva così modo, inavvertitamente comparandosi, di sentirsi ingenuamente superiore e soddisfatta. (Continua)

Per saperne di Più

Mincuccio e Cuncetta (Articolo di Enzo Appella)