Al MAST di Bologna gli scatti di ventiquattro artisti – fotografi 

di Michele De Luca

     “Se ancora oggi possiamo ammirare immagini che informano e fanno riflettere sull’industria, non lo dobbiamo più ai pochi fotografi ancora rimasti all’interno delle aziende, ma agli artisti, alla particolare attenzione di fotografi spesso di impostazione concettuale che si interessano ai processi produttivi e al loro legame con la società”. Così annota Urs Stahel, curatore della collezione di fotografia industriale della Fondazione MAST – Manifattura di Arti, Sperimentazioni e Tecnologia di Bologna, presentando la mostra “Industria Oggi”, allestita presso la propria sede, che offre al pubblico l’immagine dell’industria contemporanea attraverso gli scatti di ventiquattro artisti e fotografi, proponendo una riflessione sulla rappresentazione del paesaggio industriale degli ultimi anni.

Cha appare assolutamente mutato dagli anni ’60 e 70 del secolo appena archiviato, sia per le ovvie trasformazioni che hanno “oggettivamente” cambiato il volto della fabbrica e del lavoro all’interno della stessa, ma per il modo di rappresentarlo, o comunque, di rapportarsi allo stesso da parte di fotografi e di artisti che usano il mezzo fotografico; che in sostanza, da una sorta di   dell’auto-promozione dell’industria attraverso l’immagine aziendale ad interpretarla attraverso uno sguardo “critico”, che ambisce ad offrirne un’immagine inedita, un punto di vista personale, che sappia vedere, e far vedere “oltre” il suo apparire.

     La scelta di Stahel è caduta su artisti-fotografi i quali hanno lavorato quasi tutti nell’ultimo quindicennio sui temi legati al progresso tecnologico, al paesaggio urbano e alla condizione del lavoro nell’epoca della società globalizzata: Olivo Barbieri, Edward Burtynsky, Ariel Caine, Stephane Couturier, Ad van Denderen, Mitch Epstein, Simon Daithfull, Vincent Fournier, Peter Fraser, Jim Goldberg, Brian Griffin, Jacqueline Hassink, Miyako Ishiuchi, Richard Learoyd, Vera Lutter, Trevor Paglen, Sebastião Salgado, Allan Sekula, Bruno Serralongue, Henrik Spohler, Thomas Struth, Hiroshi Sugimoto, Carlo Valsecchi e Massimo Vitali. Li accomuna, per lo più, come ha annotato Michele Smargiassi sul suo blog “Fotocrazia”, “il fascino dell’estetica-sintetica post-industriale, dove appunto la condanna biblica al sudore della fronte sembra essere stata condonata dalla divina misericordia delle macchine a controllo numerico”. 

      Olivo Barbieri, per esempio, nella sua fotografia lunga sette metri raffigurante l'interno di uno stabilimento Ferrari, mostra come i capannoni siano ormai ambienti chiari, luminosi, arredati con grandi, verdi “piante da appartamento”, ma totalmente deserti; Henrik Spohler e Vincent Fournier ci guidano attraverso un mondo di dati e prodotti, un mondo sempre più invisibile in cui ormai solo i cartelli aiutano a orientarsi. Carlo Valsecchi fotografa impianti produttivi contemporanei come fossero sculture a tuttotondo di una “industrial fiction”. Trevor Paglen sembrerebbe prediligere la pura fotografia del cielo, se le molte strisce bianche non indicassero la presenza di orbite satellitari e sistemi di sorveglianza militare a elevata tecnologia. Nell'opera dal titolo “Tokamak Asdex Upgrade Interior 2”, Thomas Struth si occupa della ricerca tecnologica del Max-Planck-Institut, mentre Vera Lutter, nelle sue scure immagini stenoscopiche, continua a incentrare il proprio lavoro sull'oppressione, l'imponenza degli impianti industriali, mentre Miyako Ishiuchi documenta la centenaria produzione della seta in Giappone. Anche nella nostra epoca postmoderna, postindustriale, altamente tecnologica, il possesso e l'uso dei mezzi di produzione e delle competenze creano molteplici disuguaglianze sociali. Se Jacqueline Hassink, Allan Sekula e Bruno Serralongue si occupano di interrogativi e differenze all’interno della società, Ad van Denderen e Jim Goldberg contrappongono alle bianche fabbriche vuote le variopinte, flemmatiche correnti migratorie. Ed Burtinsky mostra dove e come vengano riciclate le grandi navi da carico, mentre la fotografia di Sebastião Salgado ricorda che, accanto agli impianti automatizzati, esistono ancora aree del mondo in cui si produce sfruttando intensamente la forza lavoro.

      E’ grazie ora alle indagini di questi protagonisti contemporanei dell’immagine, puntate sui nuovi rapporti e all’influenza dell’industria sull’uomo e la natura, che dal loro obiettivo – ovviamente nella varietà dei singoli approcci - ci vengono proposte immagini che, grazie anche a questa come ad altre pregevoli e interessanti proposte del MAST,  danno una lettura molto istruttiva dell’universo della produzione. Non è più, dunque, un semplice racconto del mondo dell’industria ma la considerazione della produzione industriale come soggetto di motivi tematici o di suggestioni puramente estetiche.

MICHELE DE LUCA