Grande successo dell’arte italiana sulle rive del Tago

Lo scultore ciociaro in mostra all’Istituto Italiano di Cultura di Lisbona 

****Importante appuntamento espositivo all’Istituto Italiano di Cultura di Lisbona, nell’ex Cappella del palazzo nobiliare sede dell’Istituto, grazie all’impegno di Luisa Violo, da non molto neodirettrice dell’IIC della capitale portoghese nell’ambito di un ciclo di mostre dedicate all’arte italiana contemporanea.

In mostra una selezione di sculture dell’artista ciociaro Roberto Almagno curata da Lorenzo Canova e proposta con il suggestivo titolo “Gli alberi si rivelano”, tratto da una famosa poesia di Fernando Pessoa (Corre aos meus pés), al quale il lavoro di Almagno si ispira e la mostra vuol rendere omaggio. Come scrive Canova, infatti, “nell’opera di Almagno gli alberi si rivelano così, in modo simile ai versi di Pessoa, dove la natura diviene come un sogno nella calma e silente ammirazione delle cose”. Roberto Almagno rende omaggio alla scrittura di Pessoa e alla sua visione lirica del mondo attraverso una scultura che trova proprio nel legno il suo materiale di elezione, ma che vuole fondare nella poesia il proprio nucleo concettuale. L’immagine degli alberi che si rivelano è, infatti, particolarmente vicina all’opera di Almagno che – come dice ancora Canova – “nella sua scultura si pone in un dialogo costante proprio con gli alberi, affinché rivelino il mistero della loro forma e della loro realtà metafisica”. 

****Presente in particolare sulla scena artistica italiana dai primi anni Novanta, da quando, cioè venne chiamato a partecipare a numerose e prestigiose mostre, fra le quali la Quadriennale romana del 1996, Roberto Almagno (Aquino, 1954) ha sviluppato un “discorso” creativo di forte personalità, fino ad assumere una fisionomia sicuramente propria, il cui spessore già da alcuni anni aveva interessato la critica più attenta ed avveduta. Presentandolo nel 1992 in una mostra alla galleria L’Isola di Roma, Fabrizio D’Amico aveva colto l’essenza della scultura di Almagno, che usciva in qualche modo allo scoperto dopo un lungo e rigoroso laboratorio condotto nel confronto ideale con la maggiore tradizione plastica italiana (è stato allievo di Pericle Fazzini all’Accademia di belle Arti di Roma)e internazionale, guardando soprattutto a Giacometti, Calder, Melotti e Fontana, ma in un ricercare ed operare “appartato”, fortemente sensibile alla “lezione” tradizionale e genuina della cultura artigiana del suo ambito familiare. Scriveva allora Fabrizio D’Amico: “Almagno lavora da anni su questo doppio binario, d’una figuralità avventurosa e densa di personali, involgenti memorie, e di una casta, assoluta, quasi intransigente purezza di pensieri formali”.

****Il legno, che ha rappresentato da sempre il materiale privilegiato per le sue sculture, scelto ed esaltato per la sua qualità di segno poeticamente teso nello spazio e per la sua “insostenibile leggerezza”, si misurano in questa mostra con gli spazi della galleria newyorkese, che impongono alle forme delle sculture tempi e dimensione nuove. Ma parallelamente alla scultura Almagno ha sempre affiancata nel suo percorso la pratica non meno importante del disegno, che con l’arte plastica intreccia un intrigante rapporto simbiotico: la superficie, infatti, della carta usata per i disegni, accoglie segni fatti - ancora una volta - di materia: carbone, fibra di ferro, ruggine, cenere, fissati sulla fragile, ma solo in apparenza, superficie cartacea con la forza del colpo di martello. L’essenzialità formale e l’intensità lirica, che da sempre connotano la ricerca di Almagno, trovano, nelle sue ultime espressioni , come ebbe a scrivere Micol Forti, “una nuova sonorità di espressione, una stratificazione dei toni e delle sfumature, capaci di indicare una possibile amplificazione dei significati, delle letture e delle interpretazioni”.

****La mostra sulle rive del Tago offre un’ulteriore occasione di ripercorrere gli sviluppi di un coerente e quasi mistico lavoro di faticosa quanto sempre appassionata e appassionante indagine che riuscirà negli anni a scoprire (seguendo – come lui stesso ha detto – una “vocazione quasi religiosa”) tutte le potenzialità espressive del legno, a coglierne l’anima e i più riposti “segreti”. La sua conoscenza e il suo “dominio” su questo mezzo diventano assoluti, riuscendo egli ad asservirlo e piegarlo a tutte le flessioni e contorsioni della propria immaginazione, ma nello stesso tempo a lasciarlo libero di esprimere ogni sua potenzialità intrinseca, rivelando così, la sua curiosità intellettuale verso certi aspetti della cultura orientale, in una sorta cioè  di aspirazione alla levità della materia e alla pregnanza del segno. L’essenzialità formale e l’intensità lirica, che da sempre connotano la sua ricerca, approdano così ad una sempre nuova sonorità di espressione, una stratificazione dei toni e delle sfumature, capaci di indicare una possibile ed inattesa amplificazione di “letture” e di interpretazioni. Va inoltre aggiunto che l’iter creativo di Almagno è sempre animato e supportato da una delicata vena poetica che si riflette suggestivamente, con parole “ispirate”, sulle sue opere, come si legge in alcuni suoi versi: “Guardo i miei segni erranti e senza meta, / sospesi e oscillanti: un vicolo cieco, / dentro lo spazio, verso l’ignoto”.

****Le opere di Almagno sottendono un lavoro intenso e paziente, che  richiede i tempi lunghi della meditazione orientale, in cui motivi biografici si fondono e interagiscono con sovrapposizioni culturali, l’empito personale si confronta con sedimentazioni di universi mutuati (e fatti propri) dalla storia dell’arte e antiche tradizioni della civiltà artigianale della sua amatissima terra; risultato, come scriveva Giuseppe Appella in occasione di una recente mostra a New York da lui curata, “la somma degli elementi fisici (legno, colore, movimento, spazio) che mettono insieme l’ordinamento del lavoro di Almagno, unita ad una capacità immaginativa nutrita da profonde riflessioni oltre che da impulsi per la forma pura, scevra da riferimenti iconografici, porta  sempre al dono della sintesi”. Un “dono” preziosissimo, certamente naturale ed “ereditario”, ma che l’artista ha saputo far fruttificare e tradurre con la passione della poesia e la forza originale della sua fantasia.

MICHELE DE LUCA 

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