Gli enigmatici Guerrieri di Xi’an alla Pinacoteca “Corrado Giaquinto” di Bari
Un bella mostra curata da Clara Gelao e Enzo Di Martino

****Quella di Sandro Chia (Firenze, 1946) non è tanto una rivendicazione della pittura in sé, ma della possibilità di fare ancora pittura (“la pittura – ha detto - accompagna il destino dell’uomo, è fondamentale come il cibarsi, od il procurarsi un ricovero”); dipingere è per lui  un po’ come ritrovare le proprie radici e nello stesso tempo uno di quei “territori” che consente di proiettarsi e immergersi in

uno spazio immaginativo, sperimentale e creativo, nella dimensione forse più originale, rassicurante e insieme inquietante; tanto che ogni opera è per lui una nuova avventura, spirituale, mentale ed estetica: “Il quadro – sono ancora sue parole - va aggirato, corteggiato; va ingannato, pure. In esso si mischiano memorie, sì, ma anche i disparati elementi della vita di tutti i giorni. E’ una ridefinizione dell’intero apparato logico e percettivo, che nella quotidianità diamo per scontato; nella pittura scopri mille vie, sempre differenti, e sconfinate”.

****In un’intervista rilasciata ad Enrico Giustacchini e pubblicata su “Stilearte” del 21 settembre 2015, Sandro Chia offriva degli spunti molto utili per addentrarsi nella sua concezione, oltre che pratica, della pittura: “La pittura – diceva - è una macchina per pensare: a partire dalle sue forme più elementari, perfino nel disegno di un bambino. Oggi è più difficile accedervi: c’è un’inflazione di immagini, probabilmente perché non si vuole che pensiamo. L’ambito in cui opero ha le sue responsabilità. Consideriamo l’arte concettuale, dove il pensiero è preconfezionato, minimalizzato. Io sostengo invece la necessità di un’arte a rischio e pericolo dell’artista; no alle scorciatoie, no all’essenzialità (mi riferisco all’essenzialità dell’effetto, naturalmente; l’essenzialità ‘interna’ alle immagini va benissimo). E’ questo l’aspetto più interessante della pittura; lo è sempre stato, fin dall’inizio, fin da quando il dipingere era tramite e racconto di divinità e magie”. 

****Una riflessione che può essere di grande utilità per chi visita la bella mostra “Sandro Chia. I Guerrieri di Xi’an”, fino al 31 marzo 2018 alla Pinacoteca “Corrado Giaquinto di Bari, curata da Clara Gelao e Enzo Di Martino, oppure sfoglia le pagine dell’elegante catalogo edito da Papiro Art. Che aiuta cioè a comprendere quanto “centrale” sia stata la pittura nell’opera del maestro fiorentino. La mostra barese, infatti, pur documentando solo un momento particolare e straordinariamente fertile della ricerca espressiva dell’artista, riesce comunque a consegnare al pubblico una visione più completa, se non esaustiva (il che sarebbe quasi impossibile), del suo mondo poetico, ricco di fantasia e di sempre originali soluzioni estetiche; induce quindi a ritornare al nucleo centrale che attraversa la sua vicenda eclettica e sfuggente comunque a schematismi di comodo, che è poi una costante riaffermazione di questa “centralità”, lasciando alle sculture in terracotta il compito di attenersi alla figurazione, mentre assegna al colore e al gesto pittorico la libertà ultima e definitiva dell’espressione; in un affascinante gioco di audaci azzardi creativi, di suggestioni sottilmente giocate tra Oriente e Occidente, tra archeologia e pittura, tra tridimensionalità spaziale e segno pittorico. Tra meditazione e trasformazione alchemica, Sandro Chia porta a compimento un processo creativo di appropriazione “picassiana”, secondo la felice definizione di Di Martino, apponendo sulla superficie scultorea il proprio gesto pittorico fatto di cromatismi inediti, caratterizzati da  forte irruenza.

****Le copie degli enigmatici soldati posti a guardia del mausoleo del grande Shihuang, morto nel 210 a.C. a soli 49 anni, diventano, reinventati da Chia, sintesi affascinante e originale di pittura e scultura, generata da sedimentazioni e stratificazioni di antichissime culture (mitiche e misteriose), e alimentata da un suo personalissimo approccio caratterizzato da un “nomadismo culturale” e da un eclettismo straordinariamente ricco, sorprendente e “spericolato”. Come aggiunge Di Martino, bisogna avere ben presente questa “dualità di fonti di riferimento”: tenendo cioè conto, “da un lato della grande lezione storica della pittura italiana, fiorentina in particolare, dall’altro dei numerosi e coraggiosi azzardi formali, certamente disinibiti e in molti casi perfino formalmente eversivi, che l’arte statunitense ha manifestato nel secondo dopoguerra, da Jackson Pollock a Andy Warhol”. In Pinacoteca sono esposti nove grandi Guerrieri, un Cavallo e sette piccole Teste, sui quali Chia ha deposto il suo gesto pittorico. L’artista fiorentino è stato infatti definito “nomade e disinibito” per la capacità di alimentare il suo mondo creativo attingendo a fonti diverse e pervenendo ad una personale cifra formale. Un gruppo di sedici monotipi e dieci tecniche miste completano la rassegna. Ne risulta una mostra avvincente, che intende consegnare ai visitatori una visione rappresentativa del complesso e poetico mondo immaginativo di Chia.

****Quella realizzata dal Museo barese, sotto la sapiente direzione della Gelao, è sicuramente un’affascinante operazione espositiva, la cui originalità consiste nello stimolante “dialogo” diretto tra la creatività contemporanea del maestro fiorentino con le antiche opere dei Vivarini e di tutta la collezione permanente, cimentandosi ancora una volta in una sorta di “sfida” di coniugare presente e passato. In questo speciale contesto espositivo, in cui viene evocata la grande pittura veneta, e non solo, si esalta l’opera di Chia; come ci dice ancora Di Martino: “Chia ha così messo in atto, fin dal 2009, tempo, quella della ‘appropriazione formale’, all’interno del suo mondo immaginativo, di queste sculture millenarie, intervenendo su di esse con le sole ‘armi’ che conosce una decisione, certamente ambiziosa, formalmente rischiosa ed eroica allo stesso tempo e che gli sono congeniali, quelle della pittura”; lui che è stato uno dei primi, tra i compagni di strada della Transavanguardia, il movimento fondato da Achille Bonito Oliva, a ribadire la necessità di tornare al potere allegorico dell’opera e a riportare in auge la pittura in un momento in cui sembrava “scandaloso” lavorare con tavolozza e pennelli.

MICHELE DE LUCA