Le “questioni meridionali” in un nuovo approccio interdisciplinare
Con un approccio interdisciplinare e con un esplicito intento dialogico, l’interessante libro Questioni meridionali, scritto a “sei mani” da Giuseppe Moscati, Paolo Protopapa e Anna Stomeo (Morlacchi Editore, Perugia) con una prefazione di Sergio Tanzarella, si propone di indagare lo status quo di una antica questione – o meglio “quistione” – che è stata ampiamente fatta oggetto della ricerca storiografica e tuttavia merita una nuova attenzione tale da essere declinata al plurale. Le questioni
meridionali, così, tornano a porre al centro di un rinnovato dibattito possibile non solo i contenuti, coincidenti con gli innegabili limiti più o meno di un vasto ed eterogeneo territorio, ma anche le ‘forme’ attraverso le quali gli stessi mass media hanno presentato e continuano a presentare il cosiddetto Mezzogiorno.
Gli autori, constatata l’inadeguatezza di letture parziali (che rappresentano un Sud ora infernale, ora agonizzante, ora terra di nessuno) e preso tra l’altro atto del fallimento del federalismo, provano a far rispecchiare tra loro Meridione e Settentrione, in virtù di un punto di vista alternativo, anzi di più punti di vista alternativi. Se la questione è le questioni e se il dibattito torna finalmente ad aprirsi in maniera non retorica, quel Meridione non è più cancellabile né può essere rimosso, come nella sua Prefazione chiarisce con decisione Sergio Tanzarella.
Nell’intervista politico-filosofica di Giuseppe Moscati a Paolo Protopapa che anima la prima parte, facendo tesoro delle incisive denunce dei grandi meridionalisti storici e nella ricerca altresì di nuovi sentieri, emergono perciò i grandi inganni che sono stati prodotti da un’interpretazione monolitica di un Sud pressoché immobile, impoverito persino nell’immaginario collettivo che di esso si ha (si fa avere) a favore di una facile, comoda sua resa bozzettistica. Avendo come faro quello di una laica redenzione politico-culturale e sociale, è affinata una critica al sovran-populismo e all’antipolitica (che spesso è regressione alla pre-politica), alle logiche esasperatamente securitarie (da cui le esperienze di isolazionismo), ai riemergenti nazionalismi e razzismi, come pure alle derive di un iper-capitalismo di stampo liberista e fautore di un dominio che non accetta dissensi.
All’interno di questo panorama, una delle ‘aperture’ è costituita dalla riscoperta e valorizzazione della cultura delle minoranze, verso una “nuova alba di lotte”, naturaliter nonviolente. La seconda parte si apre con l’invito di Anna Stomeo a superare ogni nostalgia per delle certezze etico-politiche da tempo rumorosamente cadute; a oltrepassare vecchi risentimenti e tenaci pregiudizi e stereotipi; e pertanto ad assumersi la piena responsabilità (adulta) da orfani del meridionalismo storico. Tutto questo porta a ripensare il “doppio perturbante” e, più in generale, ad accogliere un rinnovato approccio: quello semiotico, trasversale e critico, grazie al quale è possibile cambiare paradigma e vedere infine il Sud come un vero e proprio ipertesto al di là di ogni determinismo. Muovendo da Carmelo Bene, eccezionale frantumatore delle varie connotazioni identitarie e cantore di un “Sud del Sud dei Santi”, ma anche dal prezioso apporto di voci di rottura come Roland Barthes (ecco la “memoria del corpo”) e come Judith Butler (ecco il pensiero della relazione-reciprocità), il libro si chiude così con l’ennesima riapertura: il suddetto approccio semiotico, infatti, si fa al contempo approccio etico e, inevitabilmente, politico.
Michele De Luca
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