Quanta ipocrisia nella Chiesa se ci si nasconde dietro il velo pietoso ed ipocrita dell’obbedienza! Mettiamo a confronto l’obbedienza militare e quella ecclesiastica…

 

Codice di diritto canonico 601 – “Il consiglio evangelico dell'obbedienza, accolto con spirito di fede e di amore per seguire Cristo obbediente fino alla morte, obbliga a sottomettere la volontà ai Superiori legittimi, quali rappresentanti di Dio, quando comandano secondo le proprie costituzioni”;

Art. 25 comma 2, DPR 11/07/1986 Num. 545 : il concetto di obbedienza "cieca" è stato superato da questo principio innovativo “… il militare al quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l'ordine ed informare al più presto i superiori”.

È decisamente fuorviante questa norma che regola il rapporto di obbedienza che intercorre tra un sacerdote ed il suo vescovo; in primo luogo, si parla di Chiesa e non di ambito militare, ambito dove l’obbedienza è “forzata”, ma accettata dai subalterni, dove è contemplata la gerarchizzazione, dove l’obbedienza è la ragion dell’essere militare. La Chiesa, ahimé, con questa norma cerca di ottenere un “controllo” dei fedeli attraverso i propri ministri del culto; non è una bella immagine di amore, pace, carità (?) che dovrebbe distinguere la Chiesa dagli altri ambienti.

Se un superiore “sbaglia” è lecito che il subalterno obbedisca ad ogni costo? A livello militare, rimanendo fermo il citato art. 25, il sottoscritto, pur non avendo argomentazioni personali da addurre, ritiene di sì; a livello ecclesiale, rimane perplesso.

Un parroco come può dare testimonianza del Vangelo senza dare l’esempio vivente? I miei detrattori potrebbero pensare che sia il solito romantico, avulso dalla storia, fuori dai tempi moderni; il prete non si esplica con le omelie “scritte”, piuttosto con il linguaggio del parlare chiaro, con l’esempio: chi decide di divenire sacerdote, a parere dello scrivente, deve sapere che TUTTA la propria vita sarà donata alla comunità e non una parte; che non esistono preti part-time; troppi sono gli esempi di sacerdoti, reclamizzati dalla stampa nazionale e non, che hanno smarrito il sentiero evangelico e che per molto tempo hanno continuato a rimanere nella propria posizione di pastore delle anime dando un’immagine della Chiesa cattolica allo sbando. Il Papa ha detto con forza che nella Chiesa occorrono non “tanti”, ma “buoni” sacerdoti. La nomina di un parroco non la fa il Papa, bensì il Vescovo; se un prete “fallisce” in una comunità è il Vescovo che dovrebbe risponderne. Sinceramente credo che il detto “fate come vi dico, ma non fate come faccio” inizi ad essere abusato dall’ambiente ecclesiastico; la caducità nel peccato dell’uomo accomuna tutti gli umani, preti e non, ma far passare ogni azione umana di un sacerdote sbagliata come lo sbaglio soltanto della parte umana pare una forzatura. Chiedo infine, consapevole di ritornare prossimamente sull’argomento, come può un fedele riconciliarsi con Dio attraverso il sacramento della Confessione se un sacerdote in quel momento topico ha abbandonato la parte sacra privilegiando quella umana?

P.S. è chiaro che il riferimento non riguarda il nostro caro Don Domenico!

MARIO DI SARIO