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Dai Panegirici di Stanislao Canovai delle Scuole Pie - TOMO II 19 Giugno 1817

Ego autem sic curro non quasi in incertum, sic pugno non quasi aerem verberans. S. Paolo ai Cor.

Alle rive del famoso Alfeo scendeva un tempo la Grecia affollata, e l’applauso di un’intera nazione altamente rapita dallo spettacolo delle lotte e delle corse, incoraggiva alle prodezze i Combattenti, e ne rendea più pregevole la vittoria e più legittima la corona.

In quella corona eran fissi i pensieri e gli sguardi, dell’atleta anelante; perlei si avvezzò da fanciullo ai duri esercizj e al dolore, per lei non curò gli oltraggi dell’estate e del verno, e sempre inteso a farsi un fondo inarrivabile di robustezza e di perizia per meritarla, seppe reprimere il genio, imbrigliar le passioni, vietare a se stesso gli equivoci passatempi, e rinunziare a tutto ciò che avesse potuto in qualche modo o affievolirlo o snervarlo.

Ma degg’io dirvi, o Signori, che la rinomata corona olimpica, al cui conseguimento di addestrò con tanta pena il giovane e l’adulto, il magistrato e il plebeo, il tiranno ambizioso e il superbo conquistatore, degg’io pur dirvi che questa corona si sospirata (oh! Ane cure degli uomini!) era insomma un fragile intreccio di frondi, appassivano sul capo del vincitore nel giorno medesimo del suo trionfo?

Ah! Non potea sfuggire alla calda fantasia dell’eloquentissimo Apostolo un costume che riscosse dalla greca satira la derisione e il rimprovero. Come? (scriveva egli ai Corintj ben consapevoli del patrio rito) una corruttibil corona impegna ai più ruvidi stenti il bramoso Agonista; e la certezza d’una corona immortale non farebbe sviluppare in voi quei germi di celeste energia che distinguono il vittorioso dal pigro nello stadio e nella pugna Cristiana? Se al decisivo argomento si arrendesse con giubilo la Chiesa ancor pargoletta, voi lo sapete, o Signori: ma per quale infortunio si estinse poscia tra noi la famiglia dei valorosi, o perché mai, cresciute le palme e gli allori, si assise il Cristiano lentamente a quell’ombra! Oh! Dio! Come se l’antiquate solennità dell’olimpica arena avessero abolita del pari o la speranza d’un premio eterno o la necessità di rapirlo con violente battaglie, giacemmo tra l’ignominie d’un ozio degenerante, né valsero a rialzarci i Campioni intrepidi che pieni il cuor della primitiva fortezza, si presentaron per intervalli al periglioso cimento, e ne uscirono circondati la fronte di non caduca ghirlanda.

Volgetevi a quest’Altare, mirate, o Signori, quest’Immagine festosamente adornata: ella è l’immagine di Andrea Avellino, del più risoluto tra quegli Eroi che l’Apostolo ebbe forse in pensiero allorché dipingeva ai Fedeli il magnanimo Olimpionico in mezzo alla carriera o nell’ardor del conflitto. Ah! Si contaron forse tra i contemporanei, si contano oggi tra i posteri molte copie di questo egregio modello?

Volgetevi a quest’Altare, mirate, o Signori, quest’Immagine festosamente adornata: ella è l’immagine di Andrea Avellino, del più risoluto tra quegli Eroi che l’Apostolo ebbe forse in pensiero allorché dipingeva ai Fedeli il magnanimo Olimpionico in mezzo alla carriera o nell’ardor del conflitto. Ah! Si contaron forse tra i contemporanei, si contano oggi tra i posteri molte copie di questo egregio modello? Ei corre tra mille inciampi e il diritto suo corso lo guida sicuramente alla meta: sic curro non quasi in incertum; Ei si azzuffa con mille nemici, ed ogni suo colpo gli disordina e gli rovescia: sic pugno non quasi aerem verberans. Niuno studiò meglio di Lui le lezioni agonistiche dell’Apostolo, niuno seppe metterle in pratica più compiutamente di Lui.

Dar principio alle lodi con la famosa conversione dell’Avellino … ohimé! Conversione? È dunque vero che Egli traviò qualche volta? Che qualche volta fu vinto? Che ebbe d’uopo di convertirsi? Così è, miei Signori, Andrea si convertì. Quel prodigioso bambino, che appena nato forzò le fascie infantili, e con tremula destra s’impresse in fronte il segno invincibile della croce; quel raro fanciullo, che trovando insipidi i puerili trastulli, ne alienò con dolce violenza i compagni e seco gli trasse a piè degli altari; quell’angelico giovinetto, che assalito sotto mille forme diverse dall’impudico Asmodéo, seppe virilmente confonderlo or con la fuga or con l’arte; quel Catechista zelante, che per l’acquisto d’un’anima sfidò le piogge ostinate, i gonfi terreni, le procelle impetuose, il freddo, il sonno, la fame; quell’inclito Sacerdote, che in pochi giorni riempì la vasta Napoli del prezioso odore di cento virtù pellegrine: sì, l’incomparabile Andrea, qual ve lo dipingo, si convertì.

Perorava Egli una volta la disperata causa d’un innocente, e abbandonatosi ai trasporti della tenera compassione e della viva eloquenza, accumulava ragioni, adducea testimonianze, ributtava accuse, e si prevalea con vantaggio non men dei manifesti principj, che dell’ambigue sottigliezze forensi: quando tra l’angustie e il calor della disputa ecco fuggirgli disavvedutamente una vana menzogna. Oh! Mio Dio, quanto è delicata, quanto è irritabile la coscienza dei Vostri Santi! Se con pieno consiglio avesse Egli mentito in un secolo ch’io ben conosco, secolo ignorante, che per mancanza di buon senso e di lumi accatta bruttamente dalla menzogna i caratteri dello spirito e dell’ingegno, secolo infame, che accogliendo con gioja gli scherzi o le malignità d’un bugiardo, annunzia del pari e il trionfo dell’intrepida sfrontatezza, e l’esterminio della semplicità vetusta e della reciproca confidenza: se in questo secolo avesse mentito con risoluta volontà l’Avellino, chi di noi ne avrebbe fatto alcun caso, chi sarebbe giunto a idearlo colpevole d’un gran delitto? Eppur la verità violata e il divino oracolo in cui s’incontrò nel giorno stesso leggendo, gli delinearono la sua menzogna come una spada apportatrice di morte; eppur quella colpa, che nemmeno è colpa agli occhi nostri, comparve a Lui si spaventevole, sì mostruosa, che non cessò di piangerla con lacrime inconsolabili: e fu l’orrore e fu l’amarissimo affanno d’un’incauta menzogna, cui l’Avellino medesimo impose il nome di conversione.