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Il Periodo Postunitario

L’emigrazione è un fenomeno economico e sociale che ha inizio dopo l’unità d’Italia e dura fino ai nostri giorni. Era iniziata nel 1820, subito dopo le guerre napoleoniche e la Restaurazione. Nel 1830 in America si contavano appena 439 italiani; i valori rimasero bassi fino alla costituzione del Regno d’Italia, quando o per il rapido aumento della popolazione, o per le repressioni nel Sud, o per le politiche economiche, il movimento migratorio conobbe, a partire dal 1880 una emigrazione di circa 100.000 unità l’anno. 

L’emigrazione italiana si concentra in un arco di tempo di circa cento anni, compreso tra gli anni settanta dell’Ottocento e gli anni settanta del Novecento. 
Un secolo, nel corso del quale, emigrarono quasi venti milioni di cittadini; si può dire non ci sia stata famiglia italiana che non sia stata coinvolta da questo fenomeno. Mentre nel resto dell’Europa, nel corso del XIX secolo, ha inizio il processo di industrializzazione, l’ Italia rimane un paese fortemente agricolo.

I contadini videro perdurare una situazione di grande disagio: una forte diminuzione dei prezzi agricoli e la politica dei dazi doganali portarono alla rovina migliaia di agricoltori. Per questo, la maggior parte degli emigranti erano contadini poverissimi, spesso semplici braccianti agricoli, nella stragrande maggioranza analfabeti. Molti parlavano solo il dialetto ed erano destinati a lavori umili e faticosi come : dissodare le terre, lavorare in miniera e costruire ferrovie. Gran parte delle forze politiche del tempo, erano estremamente favorevoli alla emigrazione di massa, perché costituiva una specie di valvola di sfogo, là dove le tensioni sociali rischiavano di diventare insostenibili, in particolare nell’Italia meridionale.

Dal 1876 al 1900 l’emigrazione italiana diventa imponente e coinvolge oltre 5 milioni di persone, che vengono in pratica cacciate dalle campagne, mandati alla ventura verso paesi lontanissimi, soprattutto nelle due Americhe. I maggiori paesi meta dell’emigrazione erano Argentina e Brasile, soprattutto perché ogni emigrante andava dove sapeva di poter trovare parenti, amici, conoscenti a cui chiedere aiuto, e dove fosse possibile una collocazione sociale simile a quella lasciata in patria.

Gli emigranti erano soprattutto analfabeti, la cui cultura, differiva molto da quella americana. In questo periodo gli emigranti partono da soli, lasciando la famiglia, con la speranza di tornare in patria con un buon gruzzolo, per ricominciare una nuova vita, magari comprare un pezzo di terra al proprio paese e mutare così la propria condizione.

Così si spiega l’incredibile flusso di denaro inviato in patria dagli emigranti. Una tale quantità di denaro dall’estero, costituiva una straordinaria risorsa per l’economia italiana. Solo più tardi i flussi migratori furono costituiti prevalentemente da donne, che venivano impiegate in lavori domestici nelle case delle famiglie benestanti, oppure trovavano occupazione nelle filande, nei lanifici e nei cotonifici nazionali. Si trattava di operaie giovanissime, in alcuni casi di bambine, alle quali venivano imposte condizioni contrattuali, nella maggior parte dei casi, molto dure e una rigida disciplina sul luogo di lavoro.

La prima guerra mondiale interrompe l’emigrazione, che riprende impetuosa nel primo dopo guerra. Ma qualcosa cambia: con due leggi, una del 1921 e l’altra del 1924. L’USA che fino ad allora, aveva accolto tutti gli emigranti, chiude le frontiere all’emigrazione di massa e accoglie solo la quantità di manodopera necessaria al suo sistema produttivo. Vengono fissate quote di emigranti, in base alla nazionalità, e si vieta l’accesso agli analfabeti: occorrono lavoratori più istruiti e qualificati. Il fascismo affronta il problema dell’emigrazione introducendo leggi che scoraggiano lo spostamento dei lavoratori. Nonostante ciò l’emigrazione italiana continua con circa 100.000 unità all’anno. E’ verso le colonie africane che Mussolini dirige il flusso migratorio dei cittadini e dei braccianti in cerca di lavoro. Nel secondo dopo guerra l’emigrazione riprende vigore e dal 1946 l’emigrazione transoceanica subisce un forte calo, a vantaggio dei paesi europei. Molti italiani vanno a lavorare nelle miniere di carbone nei paesi dell’Europa del nord, Francia, Belgio Gran Bretagna; successivamente si dirigeranno verso la Germania e la Svizzera.