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L'Arrivo

Già all’attracco del piroscafo, gli emigrati cominciavano a rendersi conto di essere giunti nell’America com’era e non come l’avevano sognata. Le immagini da paradiso terrestre trovavano scarso riscontro. Appena arrivati venivano ammucchiati in un enorme stanzone in attesa di visita medica, nel grande centro di accoglienza di Ellis Island, a New York. Durante le visite mediche molti erano coloro che venivano respinti, specialmente perché affetti da malattie invalidanti. Analoga accoglienza veniva riservata negli altri paese come: l’Argentina, Brasile ecc…

Nel 1891 furono introdotte norme “selettive e impietose” vietando l’ingresso a “ciechi, gobbi, zoppi, sordomuti, mutilati e deformi, a madri con figli che non dimostravano di essere stati chiamati da parenti, alle donne incinte non maritate o con prole, senza marito”.

Una nuova legge del 1907 inasprì maggiormente le norme, istituendo severe visite mediche per l’accertamento delle persone “fisicamente e intellettualmente difettose”.

Gli immigrati venivano sottoposti a visite psicologiche”con test mentali tipo: “conti da 20 a 1 andando all’indietro!”

-“Al centro immigrazione, ebbi la prima sorpresa. Gli emigrati venivano smistati come tanti animali. Non una parola di gentilezza, di incoraggiamento, per alleggerire il fardello di dolori che pesa così tanto su chi è appena arrivato in America” (Da una deposizione di Vanzetti).

Dopo aver fatto sosta tra conoscenti, amici o parenti della colonia italiana a New York , coloro che non si fermavano, proseguivano per altre mete. Ma questo solo dopo aver ricevuto il cartellino; dopo le visite mediche, il colloquio e “l’esame” vi era il verdetto finale. E quando venivano timbrati con “admitted” crescevano le speranze. Le difficoltà erano sempre le stesse, innanzitutto quelle di inserimento nelle nuove realtà delle metropoli, tanto diverse dai loro paesi d’origine, poi i lavori più umili e mal pagati, le difficilissime condizioni abitative e sanitarie, tutto contribuiva alla selezione dei più forti e motivati. I più deboli pagavano duramente l’avventura americana, anche dal punto di vista psichico e fisico: le malattie, soprattutto la tubercolosi, contribuivano in modo determinante. 

New York era indubbiamente la meta preferita I nuovi arrivati si lanciavano spesso in attività ben precise: a New York in lavori di sterro, nel New Jersey nelle fabbriche tessili a Boston nelle ferrovie e nelle miniere ecc... Ma tutti i lavori erano buoni per sopravvivere e così si diventava: straccivendoli, lustrascarpe, spazzini, materassai. Anche le donne si davano da fare: sarte, domestiche, lavapiatti, stiratrici. E così che inizia la storia dei lucani nella società .Americana. Nelle grandi città americane, soprattutto a New York, sorsero le “Little Italies” , dove le strade riacquistavano le funzioni delle piazze di paese con la vita che scorre insieme al vociare della gente, dove si continuava a festeggiare i santi Patroni dei paesi natii, con feste che richiamavano quelle dei paesi d’origine.