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L'Emigrazione a Castronuovo di Sant'Andrea

Erano gli inizi del Novecento, quando un gran numero di persone, con il cuore in pezzi, prese la via d’oltreoceano per non tornare mai più. La popolazione era ai massimi storici, circa 3.000 abitanti nel territorio castronovese. Ma le condizioni di vita erano davvero critiche. La terra, sempre ingrata verso questo popolo, non dava i frutti sperati, molti dei coltivatori erano mezzadri nella terra del barone Giura. Le famiglie erano numerose e patriarcali, nelle povere case, fatte anche solo di una stanza annessa alla stalla, vivevano genitori, figli, nonni e zii. L’alimentazione era scarsa, e molti bambini morivano in tenera età a causa della mal nutrizione. Lo stato non dava alcun sostegno alla popolazione più disagiata.

Gli anziani dovevano continuare a dare il loro contributo facendo piccoli lavori, poiché nonostante una vita di dura fatica, non percepivano alcuna pensione La gente non ce la faceva più, la disperazione prese il sopravvento. L’America, tanto decantata, costituiva l’unica salvezza. Molti decisero di partire!!!

I primi a lasciare il paese furono i capofamiglia, con la speranza di richiamare presto a se le famiglie lasciate al paese, o di ritornare con un gruzzoletto per poter migliorare la propria posizione economica. La partenza richiedeva un iter lungo e dispendioso. Bisognava per prima cosa trovare il denaro che serviva per il viaggio, per questo molti erano costretti a vendere quelle poche cose che ancora possedevano, oppure chiedevano il denaro in prestito presso i signorotti del paese. Ciò impoveriva ancora di più le famiglie. 

Quando finalmente arrivava il passaporto bisognava partire. Con il cuore infranto cominciavano i preparativi. Cosa portare? La valigia di cartone, straripante di roba, conteneva i pochi indumenti appena comprati e… qualcosa da mangiare: salame, formaggio, una “panella,” e magari una bottiglia di vino. I più fortunati portavano con se anche un baule con tutto ciò che possedevano. Nel chiudere quelle valigie, magari con un grosso spago, si aveva l’impressione di chiudere dentro di essa quel piccolo mondo fatto di cose semplici e genuine, quel mondo che molti di loro non avrebbero più rivisto.

La sera prima della partenza qualcuno dava una piccola festa per salutare gli amici e i parenti, magari si cercava di scacciare la tristezza facendo un ballo al suono delle zampogne. La mattina presto la moglie e i bambini accompagnavano l’uomo alla fermata della Litturina” (così veniva chiamato anticamente il pullman). L’uomo cercava di imprimere nella sua memoria quei volti rigati dalle lacrime. Un ultimo saluto e si partiva alla volta di Napoli. 

Per il viaggio si impiegava un’intera giornata, poiché le strade erano impervie e tortuose. All’arrivo bisognava sottoporsi a visita medica per accertare se si era sani di costituzione e nella condizione di poter affrontare un viaggio che durava un intero mese. Finalmente, quando tutto era pronto, si saliva sulla nave. Ma i problemi non erano finiti…

Molti, durante la traversata dell’Oceano si ammalavano, altri, meno fortunati, morivano. Ad accoglierli in terra straniera c’era sempre qualche amico, ormai lì da anni, che conosceva un po’ la lingua. Molti, dopo aver trovato un lavoro stabile, mandavano a chiamare la moglie e i figli; altri tornavano dopo aver messo da parte un bel gruzzoletto. Ma non mancarono quelli che dopo alcuni anni tagliarono i ponti con il paese lasciando al loro destino moglie e figli e creandosi una nuova famiglia. Durante gli anni della forte emigrazione, molti giovani partirono, ma arrivati in America, dopo una sistemazione decente, pensarono di mettere su famiglia.

Non conoscendo le donne del posto, cercarono di contattare le ragazze del paese per poi sposarle. Avveniva così una corrispondenza epistolare, venivano inviate foto per farsi conoscere, c’era chi partiva per contrarre il matrimonio in America e chi invece, tramite procura, si sposava al paese per poi partire. La cerimonia del matrimonio avveniva in piena regola: la sposa, accompagnata dal padre, si recava in chiesa, dove ad attenderla c’era un amico o, preferibilmente, un parente dello sposo. Il rito aveva così inizio. Dopo la cerimonia nuziale seguiva il corteo verso la casa della sposa, dove si consumava il pranzo nuziale. Dopo alcuni giorni dal matrimonio la sposa partiva per raggiungere lo sposo, ed era di solito accompagnata da qualche paesano che emigrava.

Molti, quando arrivavano, trovarono delle brutte sorprese, poiché la foto non corrispondeva alla realtà. Ma ormai non si poteva tornare più indietro. Di molti nostri connazionali si sono perse le tracce, mentre altri hanno mantenuto costantemente i contatti con i parenti , fino a quando sono rimasti in vita. Molti emigrati mandavano soldi magari per il restauro della Chiesa Madre, donavano banchi, statue, era questo un modo per sentirsi legati alla propria terra. Ormai molti anni sono trascorsi, di loro si sà poco o niente, i contatti permangono solo con coloro che sono emigrati negli anni '50. A volte però per le strade del paese si incontrano stranieri che cercano di trovare riscontro di quei luoghi in cui i loro nonni vissero un’infanzia mai dimenticata.

Il fenomeno dell’emigrazione ha impoverito il nostro paese di presenze umane, basti pensare che al 31 dicembre 1871 la popolazione residente nel nostro comune era di 3.009 abitanti, al 31 dicembre 1881 di 3.024, al 10 febbraio 1901 di 2.780, al 31 dicembre 1906 di 2.971.

Se pensiamo alla situazione attuale c’è da rabbrividire!!!!

Fino al 1901 non abbiamo nessun documento relativo all’emigrazione nel comune di Castronuovo. Un solo registro attesta, più che l’emigrazione vera e propria, il numero delle persone che chiesero il passaporto per l’espatrio, ciò ci induce a pensare che le stesse, una volta ottenuti i documenti, partivano o per raggiungere i parenti o per andare in cerca di lavoro in terre lontane. Nel 1901 partirono 27 persone; nel 1902 ne partirono 60, via via aumentarono sempre di più, nel 1905 raggiunse l’apice con 100 emigrati. Nel 1915 , periodo in cui ci fu la prima guerra mondiale, si verificò un’interruzione del fenomeno che riprese nel 1920, dapprima con poche unità fino ad arrivare a un massimo di 30 persone l’anno. 

Con l’avvento della seconda guerra mondiale il flusso migratorio ebbe un nuovo arresto che riprese subito dopo, ma questa volta la gente preferì emigrare verso i paesi europei la Svizzera, la Germania e l’Inghilterra. Intorno agli anni '60 si verificò una nuova ondata di emigrazione, molti castronovesi lasciarono la loro terra non più per raggiungere paesi lontani, ma questa volta le loro mete furono le regioni più industrializzate del nord Italia.

Molti si stabilirono in Piemonte dove c’era una grande richiesta di manodopera da impiegare nelle fabbriche, soprattutto nella Fiat. Le partenze verso luoghi lontani hanno impoverito e impoveriscono la nostra terra, come un’emorragia inarrestabile che continua nel tempo, sembra ormai che niente e nessuno sia in grado di arrestare tale fenomeno. Le politiche sbagliate, lo scarso interesse verso questa terra che continua a non dare i frutti sperati, e l’inerzia della popolazione alla fine prevarranno, portando, inesorabilmente allo spopolamento totale.