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Il Periodo Postunitario

L’emigrazione è un fenomeno economico e sociale che ha inizio dopo l’unità d’Italia e dura fino ai nostri giorni. Era iniziata nel 1820, subito dopo le guerre napoleoniche e la Restaurazione. Nel 1830 in America si contavano appena 439 italiani; i valori rimasero bassi fino alla costituzione del Regno d’Italia, quando o per il rapido aumento della popolazione, o per le repressioni nel Sud, o per le politiche economiche, il movimento migratorio conobbe, a partire dal 1880 una emigrazione di circa 100.000 unità l’anno. 

L’emigrazione italiana si concentra in un arco di tempo di circa cento anni, compreso tra gli anni settanta dell’Ottocento e gli anni settanta del Novecento. 
Un secolo, nel corso del quale, emigrarono quasi venti milioni di cittadini; si può dire non ci sia stata famiglia italiana che non sia stata coinvolta da questo fenomeno. Mentre nel resto dell’Europa, nel corso del XIX secolo, ha inizio il processo di industrializzazione, l’ Italia rimane un paese fortemente agricolo.

I contadini videro perdurare una situazione di grande disagio: una forte diminuzione dei prezzi agricoli e la politica dei dazi doganali portarono alla rovina migliaia di agricoltori. Per questo, la maggior parte degli emigranti erano contadini poverissimi, spesso semplici braccianti agricoli, nella stragrande maggioranza analfabeti. Molti parlavano solo il dialetto ed erano destinati a lavori umili e faticosi come : dissodare le terre, lavorare in miniera e costruire ferrovie. Gran parte delle forze politiche del tempo, erano estremamente favorevoli alla emigrazione di massa, perché costituiva una specie di valvola di sfogo, là dove le tensioni sociali rischiavano di diventare insostenibili, in particolare nell’Italia meridionale.

Dal 1876 al 1900 l’emigrazione italiana diventa imponente e coinvolge oltre 5 milioni di persone, che vengono in pratica cacciate dalle campagne, mandati alla ventura verso paesi lontanissimi, soprattutto nelle due Americhe. I maggiori paesi meta dell’emigrazione erano Argentina e Brasile, soprattutto perché ogni emigrante andava dove sapeva di poter trovare parenti, amici, conoscenti a cui chiedere aiuto, e dove fosse possibile una collocazione sociale simile a quella lasciata in patria.

Gli emigranti erano soprattutto analfabeti, la cui cultura, differiva molto da quella americana. In questo periodo gli emigranti partono da soli, lasciando la famiglia, con la speranza di tornare in patria con un buon gruzzolo, per ricominciare una nuova vita, magari comprare un pezzo di terra al proprio paese e mutare così la propria condizione.

Così si spiega l’incredibile flusso di denaro inviato in patria dagli emigranti. Una tale quantità di denaro dall’estero, costituiva una straordinaria risorsa per l’economia italiana. Solo più tardi i flussi migratori furono costituiti prevalentemente da donne, che venivano impiegate in lavori domestici nelle case delle famiglie benestanti, oppure trovavano occupazione nelle filande, nei lanifici e nei cotonifici nazionali. Si trattava di operaie giovanissime, in alcuni casi di bambine, alle quali venivano imposte condizioni contrattuali, nella maggior parte dei casi, molto dure e una rigida disciplina sul luogo di lavoro.

La prima guerra mondiale interrompe l’emigrazione, che riprende impetuosa nel primo dopo guerra. Ma qualcosa cambia: con due leggi, una del 1921 e l’altra del 1924. L’USA che fino ad allora, aveva accolto tutti gli emigranti, chiude le frontiere all’emigrazione di massa e accoglie solo la quantità di manodopera necessaria al suo sistema produttivo. Vengono fissate quote di emigranti, in base alla nazionalità, e si vieta l’accesso agli analfabeti: occorrono lavoratori più istruiti e qualificati. Il fascismo affronta il problema dell’emigrazione introducendo leggi che scoraggiano lo spostamento dei lavoratori. Nonostante ciò l’emigrazione italiana continua con circa 100.000 unità all’anno. E’ verso le colonie africane che Mussolini dirige il flusso migratorio dei cittadini e dei braccianti in cerca di lavoro. Nel secondo dopo guerra l’emigrazione riprende vigore e dal 1946 l’emigrazione transoceanica subisce un forte calo, a vantaggio dei paesi europei. Molti italiani vanno a lavorare nelle miniere di carbone nei paesi dell’Europa del nord, Francia, Belgio Gran Bretagna; successivamente si dirigeranno verso la Germania e la Svizzera.


La Partenza

La navigazione a vapore, e la conseguente diminuzione del costo del biglietto, negli ultimi decenni dell’Ottocento, favorirono un esodo massiccio dell’emigrazione italiana. Il biglietto per la traversata oceanica nella terza classe di un piroscafo, aveva tuttavia un prezzo elevato, se paragonato ai salari medi dei lavoratori. Perciò era necessario possedere dei risparmi, oppure vendere quel poco che si aveva per poter disporre del denaro per il biglietto. Molti, per poter emigrare, accettavano di firmare dei contratti con i proprietari terrieri o gli industriali, che pagavano il biglietto il cui costo sarebbe stato sottratto dal salario. Ma questo tipo di contratto costringeva i lavoratori alla perdita della propria libertà poiché il debito accumulato al momento dell’espatrio continuava ad aumentare, ed essi assistevano impotenti alla propria rovina: Il credito vantato dai datori di lavoro prevedeva il carcere; era sufficiente infatti, a legare il lavoratore alla terra , come gli schiavi alle catene nell’ antichità.

Il viaggio durava trenta giorni. Gli emigrati, ammassati come bestie, viaggiavano in terza classe e molti si ammalavano, i bambini erano quelli a maggior rischio. Infatti molti furono i piccoli che durante la traversata morirono. Gli emigrati erano costretti a mangiare accovacciati sui ponti delle navi o sottocoperta. Usufruivano di un buono mensa per un pasto, che veniva distribuito dai “capirancio”.

Uno dei rari divertimenti a bordo tra gli emigranti della terza classe, era la sfida a colpi di spaghetti; in realtà il cibo fornito a bordo non era solo scadente, ma anche scarso. Molti morivano a causa della denutrizione. La notte dormivano in dormitori superaffollati. Capitava spesso che alcuni dormitori venissero montati nelle stive di un mercantile che aveva appena scaricato carbone, senza neppure ripulire i locali.

I viaggi, che duravano anche 30-40 giorni, costavano spesso la vita a molti lucani a causa delle difficilissime condizioni igieniche e degli spazi angusti che erano costretti ad occupare durante la traversata. Molti morivano per asfissia, avvelenamento, fame o uccisi dalle malattie (malaria, polmonite, scabbia) che imperversavano. A nulla servivano i medici che erano a bordo.


L'Arrivo

Già all’attracco del piroscafo, gli emigrati cominciavano a rendersi conto di essere giunti nell’America com’era e non come l’avevano sognata. Le immagini da paradiso terrestre trovavano scarso riscontro. Appena arrivati venivano ammucchiati in un enorme stanzone in attesa di visita medica, nel grande centro di accoglienza di Ellis Island, a New York. Durante le visite mediche molti erano coloro che venivano respinti, specialmente perché affetti da malattie invalidanti. Analoga accoglienza veniva riservata negli altri paese come: l’Argentina, Brasile ecc…

Nel 1891 furono introdotte norme “selettive e impietose” vietando l’ingresso a “ciechi, gobbi, zoppi, sordomuti, mutilati e deformi, a madri con figli che non dimostravano di essere stati chiamati da parenti, alle donne incinte non maritate o con prole, senza marito”.

Una nuova legge del 1907 inasprì maggiormente le norme, istituendo severe visite mediche per l’accertamento delle persone “fisicamente e intellettualmente difettose”.

Gli immigrati venivano sottoposti a visite psicologiche”con test mentali tipo: “conti da 20 a 1 andando all’indietro!”

-“Al centro immigrazione, ebbi la prima sorpresa. Gli emigrati venivano smistati come tanti animali. Non una parola di gentilezza, di incoraggiamento, per alleggerire il fardello di dolori che pesa così tanto su chi è appena arrivato in America” (Da una deposizione di Vanzetti).

Dopo aver fatto sosta tra conoscenti, amici o parenti della colonia italiana a New York , coloro che non si fermavano, proseguivano per altre mete. Ma questo solo dopo aver ricevuto il cartellino; dopo le visite mediche, il colloquio e “l’esame” vi era il verdetto finale. E quando venivano timbrati con “admitted” crescevano le speranze. Le difficoltà erano sempre le stesse, innanzitutto quelle di inserimento nelle nuove realtà delle metropoli, tanto diverse dai loro paesi d’origine, poi i lavori più umili e mal pagati, le difficilissime condizioni abitative e sanitarie, tutto contribuiva alla selezione dei più forti e motivati. I più deboli pagavano duramente l’avventura americana, anche dal punto di vista psichico e fisico: le malattie, soprattutto la tubercolosi, contribuivano in modo determinante. 

New York era indubbiamente la meta preferita I nuovi arrivati si lanciavano spesso in attività ben precise: a New York in lavori di sterro, nel New Jersey nelle fabbriche tessili a Boston nelle ferrovie e nelle miniere ecc... Ma tutti i lavori erano buoni per sopravvivere e così si diventava: straccivendoli, lustrascarpe, spazzini, materassai. Anche le donne si davano da fare: sarte, domestiche, lavapiatti, stiratrici. E così che inizia la storia dei lucani nella società .Americana. Nelle grandi città americane, soprattutto a New York, sorsero le “Little Italies” , dove le strade riacquistavano le funzioni delle piazze di paese con la vita che scorre insieme al vociare della gente, dove si continuava a festeggiare i santi Patroni dei paesi natii, con feste che richiamavano quelle dei paesi d’origine.


Le Nuove Patrie

Chi partiva, raramente era un uomo solo, poiché altri emigrati, che erano sul posto, lo accoglievano in modo da facilitargli l’inserimento. Nascevano così quartieri italiani nelle grandi città americane, dai nomi diversi, ma in cui le strade avevano la funzione della piazza del villaggio da cui provenivano, i luoghi in cui si cercava di mediare fra le antiche radici e le nuove frontiere culturali. Dopo un periodo di adattamento nel paese di accoglienza, avveniva l’inserimento nelle grandi città industriali dove la maggiore stabilità e le accettate condizioni di vita consentivano il ricongiungimento con la famiglia.


L'Emigrazione in Basilicata

Molti furono i lucani che abbandonarono la propria terra in cerca di fortuna. Nel solo anno 1900, secondo i dati del Commissariato Generale dell’Emigrazione, furono 10.797 ad attraversare l’Oceano, di cui: 4730 diretti verso gli stati Uniti, 2924 in Argentina e Brasile. Attualmente sono 650 mila i lucani che vivono sparsi nel mondo, questi sono i discendenti di quelli che emigrarono alla fine del XIX secolo.

Essi presero la via dell’esilio con il loro bagaglio fatto di povere masserizie, ma ricco di tradizioni. Viaggiatori per bisogno, fuggirono da un territorio al quale l’unificazione nazionale non aveva dato quell'impulso economico in cui si era sperato: i contadini non avevano migliorato le proprie condizioni, erano rimasti semplici braccianti agricoli nelle terre dei latifondisti, e solo negli anni ‘60, con la riforma agraria, molti terreni furono espropriati e dati ai contadini. Le cause che determinarono questo grande esodo furono soprattutto cause territoriali, come la conformazione geologica e la scarsa produttività del suolo: non vi erano terreni adatti all’agricoltura, quasi tutti argillosi o occupati da boschi, e quindi la densità demografica non era proporzionale alle risorse della terra.

La popolazione abitava soprattutto sulle colline poiché in pianura i terreni non erano ancora stati bonificati e imperversava la malaria. Ed è per questo, che pur lavorando incessantemente, i raccolti ed i guadagni erano insufficienti al sostentamento. Inoltre vi era un clima di sfiducia e di demoralizzazione. Chi partiva non si sentiva realizzato e di conseguenza, pensava di essere un peso per la società. Dopo un primo sconcertante impatto con i luoghi di quarantena come “Ellis Island”, subivano l’ umiliazione di dover fare lavori squallidi, rifiutati da chi aveva conosciuto il benessere. Non fu solo una fuga dalla miseria, ma costituì un doloroso distacco, uno sradicamento struggente da tradizioni, costumi, affetti, famiglia e luoghi d’origine.

Gli emigranti non furono solo braccia a buon mercato, per lo sviluppo economico di quelle nazioni che in un primo momento li tollerarono e li sfruttarono senza scrupoli, ma generazioni di valenti artigiani lucani, di costruttori, professionisti e addirittura banchieri, che contribuirono all’arricchimento economico delle terre in cui espatriarono. L’emigrazione aveva rappresentato, prima del fascismo il fenomeno, che più di ogni altro, aveva mutato il volto della Basilicata, spopolandola ampliamente, mentre la popolazione italiana aumentava, quella lucana subì un calo del 10 per cento. Molteplici furono le cause di questo fenomeno: dalla miseria in “piccole proporzioni” a quella su larga scala, dall’attività di allevamento al disboscamento, dalle pessime condizioni idrogeologiche a quelle igieniche.

La persistenza di questa economia agricola arretrata e lo sviluppo di quella americana, spingono all’emigrazione masse di contadini, in particolare del Meridione. Il nuovo stato, poi, non è in grado di prendere provvedimenti per affrontare e combattere alle radici questi problemi; al contrario, le scelte del governo, migliorano solo le condizioni dei più ricchi, aggravando quelle di operai contadini e proletari, l’unica via d’uscita era l’emigrazione. Ed è tutta la regione a spopolarsi a vista d’occhio: restano solo paesi ormai abbandonati.

Con la fine della Prima Guerra Mondiale e con l’avvento del fascismo i grandi flussi migratori si restrinsero drasticamente. Ma negli anni successivi, si sviluppa un movimento migratorio spontaneo, diretto in particolar modo verso gli Stati Uniti.

A partire furono soprattutto uomini, ma da considerare eroico è anche il ruolo delle donne che, durante gli anni della grande emigrazione, assunsero un’influenza determinante nell’ambito della famiglia. Così nella regione si passò dalle 193 donne emigrate nel 1876 alle 5.565 del 1901. 

Se eroico fu il ruolo di quelle che seguirono i loro uomini in terre lontane, lo fu altrettanto per quelle che rimanevano in patria, costituendo l’unico e solido punto di riferimento di quelle famiglie senza il capofamiglia. Il continente americano, soprattutto gli Stati Uniti, per la forte richiesta di manodopera non qualificata rappresentava, quindi, la meta privilegiata dei lucani che lasciavano la propria terra in cerca di fortuna, lavoro, ecc. , ma anche l’Argentina ed i suoi territori ancora non sfruttati, vengono raggiunti da molti.

Diverse le destinazioni, diversi i mestieri e le attività svolte nei paesi d’immigrazione. Più cospicuo il flusso migratorio fino al 1902 verso l’America Latina. Oltre ai contadini, molti artigiani lasciarono la propria terra e fuggirono in America a cercarvi il pane e la fortuna. Per dare una visione del fenomeno migratorio lucano vi vogliamo proporre alcune cifre:

  • Nel 1876 partirono 1102 persone delle quali 909 maschi e 132 femmine;
  • Nel 1877 partirono 1123 persone, 877 maschi e 242 femmine;
  • Nel 1878 partirono 2441 persone delle quali 1806 maschi e 635 femmine;
  • Nel 1879 ne partirono 5759 persone 3992 maschi e 1767 femmine.

Come possiamo constatare il numero dei maschi è di gran lunga superiore a quello delle donne. 
Molte volte per pagare il viaggio che costava circa 100 ducati, oltre a vendere la propria casa o l’orticello chiedevano dei prestiti presso gli usurai o presso quegli emigrati che erano ritornati e che investivano i loro risparmi prestandoli a quelli che partivano. Molti di quelli che tornavano in paese a volte compravano un pezzetto di terra oppure mettevano su un piccolo commercio. 

Una conseguenza estremamente negativa, fu che molte mogli rimaste a casa coi bambini, facevano debiti perché i soldi che ricevevano erano insufficienti, poiché in parte venivano restituiti, con gli interessi, all’usuraio e in parte servivano al sostentamento della numerosa famiglia. Per questo molte mogli finirono spesso per cadere in balia del “signore del paese”, partorendo figli illegittimi che spesso 
erano costrette ad abbandonare.

L’unica cosa da farsi per impedire questo mal costume delle donne, era quello di portarle con se in America, magari facendo un doppio debito. Alcuni lo fecero, altri preferirono lasciare le donne al loro destino, formandosi una famiglia oltreoceano. In Basilicata l’emigrazione si è dimostrata un fenomeno negativo poiché, essendo un territorio già di per se a bassa densità di popolazione, non ha fatto altro che impoverire di risorse umane questa terra, già di per se svantaggiata a causa di un territorio impervio e improduttivo.


L'Emigrazione a Castronuovo di Sant'Andrea

Erano gli inizi del Novecento, quando un gran numero di persone, con il cuore in pezzi, prese la via d’oltreoceano per non tornare mai più. La popolazione era ai massimi storici, circa 3.000 abitanti nel territorio castronovese. Ma le condizioni di vita erano davvero critiche. La terra, sempre ingrata verso questo popolo, non dava i frutti sperati, molti dei coltivatori erano mezzadri nella terra del barone Giura. Le famiglie erano numerose e patriarcali, nelle povere case, fatte anche solo di una stanza annessa alla stalla, vivevano genitori, figli, nonni e zii. L’alimentazione era scarsa, e molti bambini morivano in tenera età a causa della mal nutrizione. Lo stato non dava alcun sostegno alla popolazione più disagiata.

Gli anziani dovevano continuare a dare il loro contributo facendo piccoli lavori, poiché nonostante una vita di dura fatica, non percepivano alcuna pensione La gente non ce la faceva più, la disperazione prese il sopravvento. L’America, tanto decantata, costituiva l’unica salvezza. Molti decisero di partire!!!

I primi a lasciare il paese furono i capofamiglia, con la speranza di richiamare presto a se le famiglie lasciate al paese, o di ritornare con un gruzzoletto per poter migliorare la propria posizione economica. La partenza richiedeva un iter lungo e dispendioso. Bisognava per prima cosa trovare il denaro che serviva per il viaggio, per questo molti erano costretti a vendere quelle poche cose che ancora possedevano, oppure chiedevano il denaro in prestito presso i signorotti del paese. Ciò impoveriva ancora di più le famiglie. 

Quando finalmente arrivava il passaporto bisognava partire. Con il cuore infranto cominciavano i preparativi. Cosa portare? La valigia di cartone, straripante di roba, conteneva i pochi indumenti appena comprati e… qualcosa da mangiare: salame, formaggio, una “panella,” e magari una bottiglia di vino. I più fortunati portavano con se anche un baule con tutto ciò che possedevano. Nel chiudere quelle valigie, magari con un grosso spago, si aveva l’impressione di chiudere dentro di essa quel piccolo mondo fatto di cose semplici e genuine, quel mondo che molti di loro non avrebbero più rivisto.

La sera prima della partenza qualcuno dava una piccola festa per salutare gli amici e i parenti, magari si cercava di scacciare la tristezza facendo un ballo al suono delle zampogne. La mattina presto la moglie e i bambini accompagnavano l’uomo alla fermata della Litturina” (così veniva chiamato anticamente il pullman). L’uomo cercava di imprimere nella sua memoria quei volti rigati dalle lacrime. Un ultimo saluto e si partiva alla volta di Napoli. 

Per il viaggio si impiegava un’intera giornata, poiché le strade erano impervie e tortuose. All’arrivo bisognava sottoporsi a visita medica per accertare se si era sani di costituzione e nella condizione di poter affrontare un viaggio che durava un intero mese. Finalmente, quando tutto era pronto, si saliva sulla nave. Ma i problemi non erano finiti…

Molti, durante la traversata dell’Oceano si ammalavano, altri, meno fortunati, morivano. Ad accoglierli in terra straniera c’era sempre qualche amico, ormai lì da anni, che conosceva un po’ la lingua. Molti, dopo aver trovato un lavoro stabile, mandavano a chiamare la moglie e i figli; altri tornavano dopo aver messo da parte un bel gruzzoletto. Ma non mancarono quelli che dopo alcuni anni tagliarono i ponti con il paese lasciando al loro destino moglie e figli e creandosi una nuova famiglia. Durante gli anni della forte emigrazione, molti giovani partirono, ma arrivati in America, dopo una sistemazione decente, pensarono di mettere su famiglia.

Non conoscendo le donne del posto, cercarono di contattare le ragazze del paese per poi sposarle. Avveniva così una corrispondenza epistolare, venivano inviate foto per farsi conoscere, c’era chi partiva per contrarre il matrimonio in America e chi invece, tramite procura, si sposava al paese per poi partire. La cerimonia del matrimonio avveniva in piena regola: la sposa, accompagnata dal padre, si recava in chiesa, dove ad attenderla c’era un amico o, preferibilmente, un parente dello sposo. Il rito aveva così inizio. Dopo la cerimonia nuziale seguiva il corteo verso la casa della sposa, dove si consumava il pranzo nuziale. Dopo alcuni giorni dal matrimonio la sposa partiva per raggiungere lo sposo, ed era di solito accompagnata da qualche paesano che emigrava.

Molti, quando arrivavano, trovarono delle brutte sorprese, poiché la foto non corrispondeva alla realtà. Ma ormai non si poteva tornare più indietro. Di molti nostri connazionali si sono perse le tracce, mentre altri hanno mantenuto costantemente i contatti con i parenti , fino a quando sono rimasti in vita. Molti emigrati mandavano soldi magari per il restauro della Chiesa Madre, donavano banchi, statue, era questo un modo per sentirsi legati alla propria terra. Ormai molti anni sono trascorsi, di loro si sà poco o niente, i contatti permangono solo con coloro che sono emigrati negli anni '50. A volte però per le strade del paese si incontrano stranieri che cercano di trovare riscontro di quei luoghi in cui i loro nonni vissero un’infanzia mai dimenticata.

Il fenomeno dell’emigrazione ha impoverito il nostro paese di presenze umane, basti pensare che al 31 dicembre 1871 la popolazione residente nel nostro comune era di 3.009 abitanti, al 31 dicembre 1881 di 3.024, al 10 febbraio 1901 di 2.780, al 31 dicembre 1906 di 2.971.

Se pensiamo alla situazione attuale c’è da rabbrividire!!!!

Fino al 1901 non abbiamo nessun documento relativo all’emigrazione nel comune di Castronuovo. Un solo registro attesta, più che l’emigrazione vera e propria, il numero delle persone che chiesero il passaporto per l’espatrio, ciò ci induce a pensare che le stesse, una volta ottenuti i documenti, partivano o per raggiungere i parenti o per andare in cerca di lavoro in terre lontane. Nel 1901 partirono 27 persone; nel 1902 ne partirono 60, via via aumentarono sempre di più, nel 1905 raggiunse l’apice con 100 emigrati. Nel 1915 , periodo in cui ci fu la prima guerra mondiale, si verificò un’interruzione del fenomeno che riprese nel 1920, dapprima con poche unità fino ad arrivare a un massimo di 30 persone l’anno. 

Con l’avvento della seconda guerra mondiale il flusso migratorio ebbe un nuovo arresto che riprese subito dopo, ma questa volta la gente preferì emigrare verso i paesi europei la Svizzera, la Germania e l’Inghilterra. Intorno agli anni '60 si verificò una nuova ondata di emigrazione, molti castronovesi lasciarono la loro terra non più per raggiungere paesi lontani, ma questa volta le loro mete furono le regioni più industrializzate del nord Italia.

Molti si stabilirono in Piemonte dove c’era una grande richiesta di manodopera da impiegare nelle fabbriche, soprattutto nella Fiat. Le partenze verso luoghi lontani hanno impoverito e impoveriscono la nostra terra, come un’emorragia inarrestabile che continua nel tempo, sembra ormai che niente e nessuno sia in grado di arrestare tale fenomeno. Le politiche sbagliate, lo scarso interesse verso questa terra che continua a non dare i frutti sperati, e l’inerzia della popolazione alla fine prevarranno, portando, inesorabilmente allo spopolamento totale.


Lettera di un emigrante

“Carissimo cugino Francesco 
Con un po’ di ritardo rispondo alla tua lettera, perche sono stato, e sono ancora non tanto bene ma io, e tutti di famiglia vi pensiamo sempre, specie poi allo tuo figlio che è ancora ..., speriamo che il buon Dio voglio accogliere le nostre e le vostre preghiere per una subbitania guarigione. Gianni pò via spedito un pacco con diversa robba che vi sarà molto comodo, e quando ... mi vuoi quello che ci trovi perche qui sappiamo che a molti ... comprano ciò che ce dentro.
Rosa e Maria Giovanno stanno bene e vi salutano tanto.
Anche Angelo vi saluta tanto e tutte le mie figlie tanti donne sempre coginno Vincenzo.
Riguardo al formaggio non darti pensiero pensate per voi solo per sapere quanto costavo caro.
O ricevuto anche da Giuseppe la sua lettera e tutti siamo stati contenti e con tutto cuore lo salutiamo tutti.”

Questa potrebbe essere una delle tante lettere inviate dai nostri concittadini partiti per l’America in cerca di una vita migliore e più dignitosa.

Hanno collaborato alla realizzazione di questo lavoro i Ragazzi della III media dell'Anno 2008 coordinati
dalle insegnanti Carmela Rondinelli e Antonietta Langella.