Poco discosto, in un punto dove arrivava ancora intensa la luce della finestra, stava lo sgabello su cui zio Nicola si sedeva quando costruiva o riparava i basti per gli asini; appesa alla parete una mensoletta con i ferri occorrenti: trincetti, grandi aghi ricurvi che là chiamano “zaccurafe”, gomitoli di spago, pece, pezzi di cuoio e tela rozza di iuta.

C’era anche un sacco pieno di paglia, scelta pulita e sottile, per le imbottiture. Quello era u lavoro non molto richiesto perché i basti duravano a lungo, molto più a lungo di quanto non campino gli asini cui sono destinati.

Nell’angolo di fronte alla finestra, appoggiate al muro, zappe di varie fogge e dimensioni, asce, anch’esse di taglie diverse, ed appesi a chiodi piantati in un certo ordine lineare, seghetti, forbici per potare, roncoòe, pennati; quegli attrezzi dimostravano con chiara evidenza che zio Nicola faceva anche lavori di campagna e molti contadini mi avevano detto quanto fosse apprezzato come potatore di viti e di olivi.

In quella parte dello stanzone, poi, dove più attenuata arrivava la luce, su un tavolo verniciato di bianco, erano poste le vaschette dei liquidi perlo sviluppo ed il fissaggio di fotografie con la lampadina rossa che ci  pendeva sopra dal soffitto, sostenuta da una catenella di ottone; vicino, l’armadietto chiuso delle lastre, delle carte sensibili e degli atri materiali.

La grande macchina a soffietto, nera sul treppiede di legno, era già in posizione dirimpetto ad un telo bianco fissato alla parete come sfondo fotografico.

In un altro luogo perimetrale di quell’ambiente straordinario, sul pavimento, erano ammucchiati vimini in fasci, di giunco o di salice, e bacchette di salice più spesse per le costole dei recipienti che zio Nicola fabbricava in forme armoniose e diverse: c’era da scegliere di tutto, in esposizione sulle pareti o agganciato alle travi del soffitto: ceste, panieri, sporte, corbelli per gli asini e spase, tante spase, rotonde, ovali, rettangolari, gialle od arancione, sparse dovunque sull’azzurro vecchio dell’intonaco.

Chi entrava da zio Nicola cercando un qualunque recipiente di vimini era certo che lo avrebbe trovato, adatto ai suoi bisogni, e se ne poteva dopo uscire soddisfatto sia che avesse pagato (poco) sia che avesse aperto un debito da saldare senza fretta, quando ne avesse in futuro la possibilità.

Della sua attività di meccanico, invece zio Nicola aveva lasciato nella stanza poche tracce: un paranco rudimentale pendente da una trave in vicinanza della grande porta di ingresso ed, a terra, una cassetta contenente alcune chiavi scompagnate, pinze, tenaglie, martelli, scalpelli ed un miscuglio, sul fondo, di viti, bulloni e rondelle di varie grandezze.

Zio Nicola era il meccanico di se stesso ed accomodava soltanto le sue automobili; ne aveva due o tre, tutte vecchie “Fiat 500” usate, rimediate per pochi soldi che, secondo le occasionali necessità, venivano rimescolate, con motori, ruote e pezzi vari spostati dall’una alle altre e viceversa; il paranco a ciò serviva ed in specie a sollevare un motore per rimetterlo aggiustato e rimontato in una delle tre macchine fatta entrare per la grande porta fin sotto la trave di sostegno.

Una volta che, di notte, ero andato a chiamarlo per farmi accompagnare, mi aveva risposto:

<<Un momento solo, dottò… quando cambio il motore alla macchina e ce ne andiamo subito!>>

Con quelle vecchie automobili zio Nicola distribuiva favori senza fine; in tanti avevano bisogno di essere condotti qua e là per malattie, per servizi, per doveri o per divertimento, ma sempre in luoghi abbastanza vicini che non ci si poteva troppo fidare. Salirci sopra, le prime volte, faceva impressione; si udivano strampalati rumori e talvolta il sediolino su cui stavi seduto poteva staccarsi dalle guide e cadere di lato o posteriormente. Era sempre possibile inoltre l’eventualità di ritrovarsi fermi in mezzo ad una strada e di dover proseguire il cammino a piedi, non molto frequentemente però, al contrario di quel che si potesse pensare fondandosi su ciò che dicevano bonariamente i canzonatori di turno. A me capitò una volta quando, non conoscendo ancora il territorio, mi facevo accompagnare a far visite nei casolari di campagna.

<<Be’, abbiamo fatto la frittata!>>
<<Non fa niente, Nicola, ci facciamo una bella passeggiata>>.
<<Una lunga passeggiata, dotto’… la casa sta su in alto… non so se vi conviene…>>
<<Andiamo, Nicola, andiamo!... parlando non sentiremo né il caldo né la fatica>>.
<<Beè , dotto’, scusatemi… eppure andava così bene!>>
<<E non fare quella faccia, via sei così buffo che ci vorrebbe una fotografia! Ma a proposito, com’è che ha deciso di fare il fotografo?>>

La salita ed il racconto iniziarono insieme. Zio Nicola mi narrava che aveva imparato a guidare da gran tempo, durante la guerra di Abissinia, e che ritornato si era comperato un "Topolino" usata con la quale aveva iniziato abusivamente una specie di servizio di noleggio.

Andando un giorno a Montescuro per trovare là un compare con cui organizzare un certo commercio, anche quella automobile si era fermata per la strada come era accaduto poco prima a noi, ed anche allora Nicola era stato costretto a camminare fino al paese lontano. Impiegò molto tempo ed arrivò stanco ed impolverato che era già sera; “Tanto c’è il compare a Montescuro” pensava, ma arrivato a casa del compare trovò soltanto la moglie di lui che nel frattempo si era sposato. La donna non conosceva Nicola che le fece spavento, stando lei sola in casa, con quell’aspetto stravolto dalla stanchezza, dalla polvere e dal sudore. Si mise a gridare chiedendo aiuto ed accorsero i vicini ed anche i Carabinieri che stavano appunto ricercando in quei giorni un misterioso ladro che aveva rubato di tutto un po’ alla gente di Montescuro...(Continua)

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