Il suo “universo” è popolato da piante e bestie fantasiose

Marisa Zattini: immaginazione e scrittura

Una interessante mostra nell’antica Rocca Vescovile di Bertinoro

****Non è certo a partire dal ‘900 che ci si imbatte nella parola scritta in opere pittoriche, in sculture o in altre forme di arti visive; senza andare ancora più lontano, basti ricordare i tanti crocifissi duecenteschi con l’immancabile “INRI”, o mosaici ed affreschi in cui la scrittura aveva un importante ruolo comunicativo e didascalico.

Ma, innegabilmente, è a partire dal secolo appena archiviato che il rapporto tra arte e scrittura acquista una portata più ampia e diventa fertile terreno per una ricerca che ha coinvolto come non mai, a livello mondiale, generazioni di artisti “contagiati” da questa febbre di sperimentazione che dura ancora oggi. In principio fu il “verbo” futurista, che, seguendo le suggestive indicazioni di Francesco Tommaso Marinetti e delle sue famose “parole in libertà”, inventa un nuovo genere poetico che prevede l’uso della parola non solo per quello che “significa” ma anche per come “appare”, per il suo aspetto visivo, per la sua iconicità, che acquista una sua entità autonoma, una sua valenza comunicativa ed estetica di per sé; lo sperimentalismo dei futuristi, con molte affinità con i calligrammi di Apollinaire, scardina l’ “armonia tipografica della pagina”, che diventa “luogo” in cui possono trovare posto, secondo l’impeto creativo, caratteri, parole e disegni di vario genere.

****Scritta, disegnata, enfatizzata, cancellata, la parola è stata un elemento fondamentale per la sperimentazione dell’avanguardia storica, e la sua presenza ha accompagnato ogni significativo cambiamento delle poetiche artistiche del '900.

Dal Futurismo al Dadaismo, dal Surrealismo alla ricerca contemporanea, la relazione parola/immagine ha dato vita alle più’ “spericolate” forme espressive, apportando un originale contributo d’innovazione; con alterne vicende, ora defilata, ora emergente, la scrittura ha attraversato l’arte di tutto il secolo XX, e anche oggi l’ambiguità della sua relazione con l’immagine, è più che mai al centro dell’interesse delle più giovani generazioni artistiche.

****Questa specie di “filo rosso” che, in modo estremamente significante ed affascinante, attraversa l’arte del ‘900, è stato oggetto – come si ricorderà -, a cavallo tra il 2007 e il 2008, di una imponente mostra al Mart di Rovereto (“La parola nell’arte”), che, allineava oltre ottocento opere tra dipinti, disegni, manifesti, libri d’artisti, opere letterarie, collage e grandi installazioni; a questo filone di ricerca e di urgenza creativa si inserisce, il lavoro più recente di Marisa Zattini, immerso nel mondo fantastico, misterioso e alchemico delle “mandragore”, degli “erbari”, dei “bestiari” e delle “grandi madri”. Le mandragore (comunemente nota come “mandragole”; impossibile non ricordare il capolavoro teatrale di Machiavelli), alle cui radici, caratterizzate da una peculiare biforcazione che ricorda la figura umana maschile e femminile, vengono attribuite caratteristiche afrodisiache e fecondative e poteri sovrannaturali in molte tradizioni popolari, tanto da costituire uno degli ingredienti principali per la maggior parte delle pozioni mitologiche e leggendarie; gli “erbari”, che anticamente erano dei libri, spesso ricchi di illustrazioni miniate, che descrivevano l’aspetto, le proprietà medicinali e altre caratteristiche (come la semina o la raccolta) delle piante usate in medicina; i “bestiari”, anch’essi dei libri che specie nel medioevo, con testi e spesso raffinate raffigurazioni raccoglievano brevi descrizioni di animali (reali e immaginari), accompagnate da spiegazioni moralizzanti e riferimenti tratti dalla Bibbia. Le “grandi madri”, infine, ipotetiche divinità femminili primordiali, presenti in quasi tutte le mitologie note, attraverso le quali si manifesterebbe la terra, la “generatività”, il “femminile” come mediatore tra l’umano e il divino. Questo universo, popolato di segni e di scrittura, dà modo all’artista- architetto forlivese (tra l’altro direttore artistico de “Il Vicolo Sezione Arte di Cesena” - società fondata con il marito, l’architetto Augusto Pompili) viene esplorato e ricreato con la minuzia e il gusto degli amanuensi con un elegante lavoro grafico su lastre di alluminio trattate “a specchio”; il materiale sul quale l’artista interviene con “china e pennino” è costituito da lettere originali antiche che vanno dal 1800 al 1833 circa. Suggestivamente, nel suo testo di presentazione, pubblicato nel catalogo della mostra “Di-segni o dell’indole della Res”, allestita alla  Rocca Vescovile di Bertinoro (Forlì-Cesena) per poi essere successivamente trasferita a Santarcangelo di Romagna, a Gallarate e all’Istituto Italiano di Cultura di Colonia, Giovanni Ciucci richiama un illuminante brano tratto dalla Recherche  di Proust: “Cercare? non soltanto: creare. (Il ricercatore) si trova di fronte a qualcosa che ancora non è, e che esso solo può rendere reale, poi far entrare nella sua luce”.

****Lo stesso Ciucci annota: “Nell’estensione di questo microcosmo fatto di immagini-calligrafie si sono alternate almeno due mani, due persone che pur non conoscendosi hanno congiuntamente resa manifesta la possibilità di leggere e vedere dimensioni dell’esistenza dissimili, ma non per questo inconciliabili. Da questa connivenza di stesure appartenenti a linguaggi eterogenei possiamo percepire il desiderio di ricerca di Marisa Zattini, affinché le difformità portate all’evidenza riconoscano tra loro un nesso di continuità, che rende tale incontro indicazione di un’attitudine autentica, la quale, per essere creativa, aspira a riconoscersi primariamente conoscitiva”. Il “terreno” di lettura offerto da queste singolari invenzioni grafiche della Zattini, offre una notevole varietà di impulsi visivi e culturali, tra rimandi storici e artistici, contaminazioni fantasiose, suggestioni provenienti da antichi manoscritti o codici miniati; dove scrittura e disegno, “passato” di polverosi documenti  e “presente” dell’indagine sperimentale contemporanea, e come dice Ciucci, “condizione comunicativa abituale/comunicazione culturale, oggetto comune/opera d’arte… linearità testuale/spazialità iconica” si intrecciano in un “discorso” estremamente “colto”, che si muove tutto all’interno della storia dell’arte e della “storia” tout court , con risultati estetici che sono frutto di una seria e meticolosa progettualità.

MICHELE DE LUCA