(dal Giornalino "Eccoci" di febbraio 2018)

Il matrimonio al Sud, soprattutto nei piccoli paesi come Castronuovo, rappresentava un evento molto sentito, e non solo dalla famiglia degli sposi, ma anche dal resto della popolazione locale, che accorreva a vedere e a salutare la sposa. Ci si sposava molto giovani e col consenso delle famiglie.

La cerimonia prevedeva principalmente il rito religioso che, nel nostro paese, veniva celebrato nell'antica chiesa Madre. I festeggiamenti si svolgevano nelle case private, dove c’era la possibilità di ospitare molta gente, e solo più tardi si festeggiava nel cortile della scuola, soprattutto durante il 
periodo estivo.

I vestiti degli sposi erano semplici e realizzati su misura da sarti locali: la sposa, come oggi, indossava un abito bianco, che poteva essere di seta, con velo e impreziosito da pizzi o brillantini; sui capelli una ghirlanda di fiori definiva l'acconciatura, anch'essa molto sobria; ai piedi scarpe bianche con o senza tacco. Lo sposo, invece, vestiva un abito scuro, soprattutto nero, con camicia bianca, cravatta e scarpe di vernice: un paio di guanti bianchi potevano, all'occorrenza, richiamare la veste della futura moglie.

L'arrivo degli sposi in chiesa avveniva non in macchina, ma a piedi. Aprivano il corteo la sposa e il padre, seguiti dallo sposo con la madre, e attraversavano le vie del paese tra la curiosità e la gioia dell'intera collettività. Appena gli sposi uscivano dalla chiesa, venivano inondati da una pioggia di confetti, riso e qualche soldino, per augurare loro ogni bene. I bambini facevano a gara a prendere più confetti e soldi possibile. Era un momento di grande confusione e gioia.

I festeggiamenti proseguivano con un lauto pranzo. Allora non c’erano ristoranti e, quindi, il pranzo avveniva in case capienti, del paese o della campagna, dove venivano imbanditi lunghi tavoli per ospitare gli invitati. Molte erano le donne addette alla cucina, impegnate già dal giorno prima del matrimonio. Si cucinavano prodotti locali: pasta di casa, maiale, agnelli, pecore, verdura, dolci fatti in casa, biscotti che venivano bagnati nel vino locale che scorreva a fiumi. Alla fine del pranzo si toglievano i tavoli e cominciavano le danze. Gli strumenti erano: fisarmoniche, organetti e zampogne. Il ballo che andava in voga in quel periodo era la tarantella, in cui i ballerini non si potevano abbracciare, ma si sfioravano: la donna girava su se stessa, mentre il maschio le girava intorno, veniva mimato un vero e proprio “corteggiamento”.

Negli anni sessanta i festeggiamenti avvenivano in paese, precisamente nell’attuale palestra della
scuola o nel cortile adiacente. Non si faceva più il pranzo, ma un semplice rinfresco. Mentre gli invitati erano disposti in un semicerchio e parlavano fra di loro, delle persone addette alla distribuzione, passavano fra gli invitati portando in grande ceste: panini imbottiti, dolci tradizionali con la crema e ricoperti di glassa, biscotti morbidi dette “pastarell” e biscotti da bagnare nel vino. Non mancavano, comunque, i confetti che venivano distribuiti in abbondanza. Infine c’era la torta. A iniziare le danze erano gli sposi e l’orchestra era costituita da ragazzi del posto che suonavano vari strumenti. Si alternavano balli lisci con balli moderni, molto in voga in quel momento e amati soprattutto dai giovani, che partecipavano alle danze anche se non erano stati invitati.

La festa si animava e si ballava fino a notte fonda quando, ormai stanchi e forse anche un po’ “brilli”, si tornava a casa e si sprofondava in un sonno profondo. Il matrimonio era anche una delle poche occasioni in cui i giovani potevano ballare fino a notte inoltrata e, incontrare i propri coetanei e, perché no, trovare anche il fidanzato e magari il futuro marito.

Allegretti Chiara - Consigliere Antonella Cl I