La Miseria di una vita senza dolore
ovvero “Mazz e panell fan ‘o figl bell”

Il dolore è una componente essenziale della nostra vita, ci insegna a conoscere e ad evitare situazioni pericolose. Ci permette di riconoscere e, di conseguenza, ci fornisce la capacità di rimuovere o di allontanare gli stimoli nocivi. Ci incoraggia a tenere a riposo parti del corpo stanche o ferite in modo

che possano ristabilirsi e guarire. Il dolore è dunque vitale.  L’argomento forse più convincente per supportare l’ipotesi dei benefici funzionali e della “necessità” del dolore è fornito dall’ osservazione e dallo studio di alcune persone affette da una rarissima condizione clinica - di cui si contano in letteratura circa 20 casi - definita “Congenital insensitivity to pain” o “Insensibilità congenita al dolore”. La vita dei pazienti affetti da questa patologia è in costante pericolo; il mondo rappresenta per loro un “campo minato”. Vivono permanentemente nel pericolo di arrecare danno a se stessi senza la possibilità di rendersi conto di ciò che stanno facendo. Per questo motivo, molto spesso, questi pazienti muoiono relativamente giovani.

Una donna canadese affetta da questa rara condizione clinica, la congenita insensibilità agli stimoli dolorosi, non aveva altri deficit sensoriali ed era anche piuttosto intelligente. Nonostante fosse stata abituata già da piccola ad evitare situazioni pericolose ha comunque, con il tempo, sviluppato una degenerazione progressiva a carico delle articolazioni e delle vertebre spinali con una conseguente degenerazione e deformazione scheletrica; ha successivamente sviluppato delle infezioni ed infine è deceduta all’età di 28 anni. 

Bassi livelli di attività nocicettiva o di “percezione del dolore” sono importanti anche durante le attività giornaliere perché ci “avvertono” quando un particolare movimento o una prolungata postura sta mettendo a dura prova il nostro corpo. Persino durante il sonno, la percezione del dolore, sebbene non raggiunga la soglia per farci svegliare, rappresenta il “pungolo” che ci fa girare e rigirare nel letto ed evitare la formazione di piaghe da decubito o tensioni scheletrico-muscolari.

Le persone dunque affette dalla “insensibilità” congenita al dolore dimostrano che il dolore è una sensazione a sé e non semplicemente un eccesso di altri sensazioni. Queste persone mantengono abitualmente una normale capacità di percepire altri stimoli sensoriali somatici come il caldo o il freddo. 

Le cause di questa patologia possono riguardare un mancato sviluppo dei recettori periferici del dolore, un’ alterazione nelle vie di trasmissione del dolore del Sistema Nervoso Centrale, ed alcune specifiche mutazioni genetiche. Uno studio realizzato in Pakistan su diverse famiglie affette da questa patologia ha evidenziato delle mutazioni in un gene chiamato SCN9A deputato alla codifica e quindi alla produzione di particolari canali sodio voltaggio-dipendenti del sodio espressi solo dai neuroni che trasportano gli stimoli dolorosi. Questa mutazione genetica porta alla formazione di canali del sodio non funzionanti e di conseguenza ad una selettiva assenza dei potenziali di azione, gli stimoli dolorosi di partenza, e all’ impossibilità quindi di percepire la necessaria azione dello “stimolo dolore”. Il risultato di tutto questo è la profonda insensibilità al dolore. I membri di questa famiglia erano in grado di sopportare “tranquillamente” ferite, lividi, morsi a labbra o alla lingua e persino fratture ossee.

Alla luce di quanto esposto, appare chiaro che la vita senza dolore non è assolutamente una benedizione; una “soglia minima” anche solo per “uso personale” dovrebbe essere sempre assicurata.

(Fonte: Neuroscience. Exploring the Brain. Fourth Edition)