Alla Fondazione Querini Stampalia le foto dell’Archivio Arici

La questione della “rappresentazione della città” è più che mai una questione centrale, come sottolineava Italo Zannier nel suo libro La Fotografia in archivio (2001) in cui tracciava il suo breve panorama della fotografia veneziana del Novecento, dando voce e responsabilità ai fotografi stessi, perché – come scriveva - sono loro, in definitiva, a renderla visibile: “La risposta compete anche ai fotografi, anzi, soprattutto a loro, che in bene e in

male hanno suggerito e impresso negli ultimi centosessant’anni, un’idea della città, con la quale paradossalmente ci confrontiamo ancora di più che con la stessa realtà”. Questa citazione viene opportunamente riproposta da Ariane Carmignac nel suo denso e stimolante saggio che ha introdotto, nel magbifico catalogo, alla mostra “Venezia 1860-2019. Fotografie dall'Archivio Graziano Arici” nella prestigiosa Fondazione Querini Stampalia che si affaccia sullo splendido campo di Santa Maria Formosa a Venezia.
Contro uno sguardo già ‘informato’, oltre la “schiavitù” dei cliché che – nel bene o nel male – partendo dai vedutisti e fin dall’invenzione di Daguerre, fa della città lagunare la più “fotogenica” e la più fotografata del mondo, come ci dice la Carmignac, “Graziano Arici tenta di proporre un’altra visione, quella della vita quotidiana di una città: attraverso le sue serie fotografiche, cerca di sfuggire a una visione forzata, forgiata, menzognera e lusinghiera della città”. La Querini Stampalia, cha ha ricevuto in donazione l’Archivio presenta per la prima volta una mostra curata dallo stesso Arici e Cristina Celegon con Barbara Poli, con oltre centoquaranta opere tra fotografie, originali ottocenteschi, lastre e stereoscopie, stampe digitali, tratte da questa poderosa raccolta.
La sequenza espositiva che parte dalla città dell’immaginario delle prime fotografie, così vicina all’iconografia classica e anche stereotipata della città, offre uno straordinario re­pertorio di immagini, che ci restituiscono altret­tanti frammenti di vita cittadina scrutata dall’obiettivo fotografico. Ma centrale, nell’esposizione, è – giustamente – il lavoro di Arici, da cui emerge la sua alta professionalità fo­tografica e fotogiornalisti­ca. La sua è una riflessione sullo stato della città e nello stesso tempo un’indagine critica sui luoghi comuni che ne hanno cristallizzato e consacrato l’immagine trasformandola in una “icona”; certo, fotografare Venezia è una grande “sfida” e Arici l’ha affrontata con sistematicità e coraggio, e il patrimonio sterminato di immagini della sua Venezia che consegna alla storia, alla memoria visiva e alla fruibilità di tutti, rimane lì a darne testimonianza; ben conscio come ogni grande fotografo di quello che diceva Guy de Maupassant, e cioè che è impossibile non “ non mescolare la sua immaginazione con la visione della realtà”.


L’esposizione, e il catalogo, che rimane a disposizione di appassionati e studiosi, oltre l’effimero di un’esposizione che ha consentito di dare un saggio della ricchezza di storie, immagini e suggestioni che compongono questa straordinaria raccolta, incentrata sulla Città Lagunare, la più fotografata e più fotogenica città del mondo. Nella scelta espositiva, ci dice Cristina Celegon, “che si propone si ritrovano alcuni degli innumerevoli lasciti della memoria che Venezia ha impresso in ciascuno e in ciascuna epoca, ma che di fatto ne costituiscono un unico insieme: dalla città dell’immaginario delle prime fotografie, così vicina all’iconografia che il vedutismo pittorico lascia di lei, alla città dei suoi abitanti, con gli abiti e con i “mestieri di una volta” e quelli di oggi; dalla città del glamour con le passerelle della Mostra del Cinema, alla città intellettuale e creativa; infine la città “preda/ostaggio” dei milioni di turisti che ogni anno, senza soluzione di continuità, ne percorrono le calli, i campi, la piazza” per eccellenza, cioè Piazza San Marco.
Un secolo e mezzo, dunque, in cui si condensa la memoria storico-visive di Venezia che la Fondazione Querini Stampalia li fa ripercorrere allo scopo di restare fedele alla volontà del suo fondatore “mutando nel mutare dei tempi, della realtà sociali, politica e culturale del Paese e della città innovandosi r ad esserne un punto di riferimento, una protagonista anch’essa fra i soggetti fotografici proposti”. Ben si appropria, ad Graziano Arici e al suo prezioso archivio, una bella e suggestiva considerazione di Mario Isnenghi, quando dice: “C’è una relazione esile fra la Venezia degli storici e la Venezia dei letterati. E i fotografi, come i pittori e i cineasti, si ritrovano tendenzialmente alleati dei secondi, dimentichi dei primi. Vedono e raccontano realtà diverse. Naturalmente, in termini di diffusione e impatto sociale, la visione infondata può apparire più vera del vero”.

Michele De Luca