Indice articoli

Dar dunque principio alla lode con questa celebre conversione, non è già dirvi, o Signori, che non cominiciasse Egli assai più presto la felice carriera; eh! Chi mai si affrettò tanto in un tempo si breve, o chi sa un rapido volo ciò che Egli fece dalle prime definirmi se fosse un corso e non piuttosto un rapido volo ciò che Egli fece dalle prime aurore dell’età sua? Volli dirvi bensì che il ritorno del momentaneo deviamento è la grand’epoca di quelle azioni ove Andrea spiegò con ricca pompa e la forza e l’accortezza e la perseveranza istancabile del suo corso.

Potea ben Egli dubitar di se stesso, chè già non dubitavan di Lui gl’illuminati Ministri da Dio stabiliti per condottieri e per Giudici in Israele. Andrea solo venne lor nella mente, in Lui solo travidero una speranza, quando a Lui si vigoroso nel correre affidarono l’incarico di porgere la destra, e di mostrar lo smarrito cammino ad un intiero stuolo di Sacre Vergini traviate. Che dura impresa, Voi mi direte, che nembo di tuoni e di fulmini sul capo dell’Avellino!

Pur troppo è vero: ma non si ammiran sovente e non s’invidiano anche talvolta quei favolosi Campioni, che lietamente immolatisi alla difesa del debil sesso, traversarono le selve e i deserti, si esposero alla furia di mari ignoti, visitarono isole disabitate, e dall’Iberia all’India riempirono di prodezze e di meraviglie la Terra? 

Si leggono pur con sentimento le barriere insuperabili che si opposero ai loro sforzi, le potenti lusinghe onde si tentò di arrestarli, i fieri incanti da cui disciolsero l’innocenza in periglio; e dimenticando quasi la finzione e il romanzo, si gode in vederli per una causa sì giusta ora inseguiti, or prigionieri, or nuotanti nel proprio sangue, or moribondi. Ah! Se nulla è più bello di un simil fine, se l’andarne in giro con sì puri disegni è correre, coronate di gloria l’infaticabile Eroe, che senza abbattersi tra mille ostacoli, senza atterrirsi di mille mostri, osa strappar la sua preda al perfido seduttore. Giuri pur vendetta il brutale, lo assalga di fronte col ferro ignudo, lo percuota con triplicato fendente, inoltri dall’una all’altra guancia la sacrilega spada : languirà l’Avellino sopra un letto d’angoscia e verserà tutta l’anima dalle lacere arterie: ma simile a quel destriero magnanimo, che giunto con estremi sforzi alla meta, spirò sulla riportata bandiera, abbellirà col sangue la sua corona, e sigillerà la vittoria con la sua morte.

Sebbene, oh! Deluse speranze d’un frettoloso Martirio! Lo risana il Cielo con un prodigio inaspettato, e nel più riposto dei suoi pensieri gli dice: vivi e preparati; perigliosa e lunga è la via che ancor ti resta. Tremò l’Avellino all’annunzio: ma vide appena di mezzo ai suoi timori la Teatina Famiglia in dolce atto d’accoglierlo tra le sue braccia, che seguendo le vestigia di un lume sì sfolgorante, trovò compagni, trovò fermezza, e ben si convinse che appunto infra l’angustie corre più limpida e più veloce quell’acqua che stagna e imputridisce nella vastità di un alveo senza sponde.

Infatti si dilatava l’anima sua nella strettezza dell’Istituto, e o fosse emulazione o infiammata voglia d’avanzar nel cammino, vincea di gran lunga l’agilità virtuosa dei concorrenti. Ch’io perda, esclamava Egli talora, ch’io perda mai la memoria di quel Dio pietoso che mi salvò dall’Egitto! Che nella varietà di tanti esempi io voglia imitar piuttosto i ciechi, i deboli, i sordi! Che fissato un piede sulla stabilità del mio Chiostro, io sommerga l’altro nel vacillante Oceano che abbandonai! Su queste risoluzioni invariabili dell’Avellino, formatevi, o Signori, un’idea del bello, un quadro grandioso del perfetto, in quell’ordine di perfezione e di bellezza, che caratterizzano la più nominata e forse la men conosciuta virtù, la Religione. Fate, che gli scelti colori della pù pura dottrina rilevino la regolarità d’un disegno ove l’ossequioso intelletto si pieghi al dogma e il docil cuor alla Legge;

Intrecciate i consigli ai comandio, e vi contrasti in graziosa armonia la sodezza del dovere con l’esquisita eleganza d’un libero sacrificio: vi sieno dall’una parte le varie fisionomie dei Sacramenti, dall’altra i varj carsimi del Santo Spirito, e quelle tanto animate e questi tanto espressivi, da far ben comprendere che senza i loro influssi tutto sarebbe languido e moribondo: chiudano anche all’intorno la vasta tela i gruppi artificiosamente distribuiti delle claustrali sanzioni ma ridotte a pratica scrupolosa, del divoto raccoglimento ma trasformato in natura, dell’affettuosa preghiera ma on di giorno e non di notte interrotta, delle parole ma sempre pronta all’istruzione, dei pensieri ma sempre rivolti agli anni eterni … e non basterà tutto questo per adombrarvi il ritratto dell’Avellino? A me certamente basterà l’asserire che se mai Religione volesse mostrarsi agli uomini nel suo più signorile apparato, non saprebbe forse vestire altre forme che le forme, e il portamento d’Andrea.

P. II. Ma nell’atto che il generoso rapidamente s’inoltra, qual nuovo cimento è mai quello a cui d’improvviso l’espone il Cielo? Qual truppa di fieri nemici veggo io schierarsi sulla sua strada! E’ vero che non mancano delle armi egregie per rendere inefficace l’astuzia ed inutili i colpi ostili: lo miro succinto il fianco nella verità di un dispoglio che lo assicura dall’essere mai ritardato o sorpreso: veggo al suo braccio lo scudo inespugnabile della fede e già vanno a spuntarvisi gli impuri dardi infuocati che gli piovon sopra da mille bande; osservo quel fino Cimiero della salute, cui la fronte spontaneamente adattandosi, non teme le dure percosse d’un temerario consiglio. Sì, tutto è vero: ma infine questa sacra armatura che difese tant’altri, è pur troppo insufficiente per l’Avellino: lo schermirsi non è pugnare; e da Lui si voglion frattanto e gli assalti e le mischie e i trionfi.

Dove dunque investigar l’equipaggio, che nel terribile impegno lo secondi e lo regga? Dove?nella più ricca fortezza del Cristianesimo, nella vasta armeria dei Confessori dei Martiri, nel campidoglio Cattolico, in Roma: là son ricoperte di militari arnesi le pareti, le vie, le circonvicine campagne; prendon non ancora rugginose agli angoli delle tacite Catacombe le lancie di mille Eroi, che si misurarono coll’inferno, e col Mondo; né zolla mai vi si rivolge, né pietra mai vi si scommuove, da cui non si impari qualche ignorata battaglia o non si confermi qualche nota vittoria.

Là pertanto precipita l’Avellino i suoi passi, e come sogliono umiliarsi talora i valenti Artefici alla vista della romana magnificenza e al confronto delle lor produzioni con quei capi d’opera e con quei prodigj dell’arte; non altrimenti arrossisce Egli e si perde all’idea di tanti guerriere, da cui per sì lungo intervallo si riconosce lontano; quei simboli eloquenti delle loro imprese, quei luoghi illustrati dai loro conflitti, quei Santuarj, quelle ceneri, quei sepolcri gli raddoppiarono la confusione, e va (dice insultando a se stesso) va, fingiti grande, chiamati valoroso queste invitte falangi parlan di te con tutt’altro linguaggio. Ma lo ingannava, o Signori, la schiva umiltà, lo ingannava la divorante emulazione, e Dio solo era il giusto Giudice dell’Avellino. Scendono perciò dal Cielo in mezzo ad un energica ispirazione, le due grand’armi, che tutt’or gli mancavano, la spada poderosa dello spirito e l’usbergo impenetrabile della giustizia. Egli le accoglie con quell’aria, con quella gioja che è si propria di chi sospira di segnalarsi; e genuflesso tra i monumenti gloriosi del Cristiano valore, giura (quali inauditi giuramenti, o Signore!) giura e stabilisce di andare alla ripida scala di perfezione, di salirla a grado a grado fino all’alta sua cima di non rivolgersi indietro, di non arrestarsi un sol giorno: giura, e si cinge al petto l’usbergo.