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Lunedì 6 febbraio la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea ha inaugurato la mostra antologica di Guido Strazza (Santa Fiora, Grosseto, 1922), a cura di Giuseppe Appella. L’esposizione ripercorre oltre mezzo secolo attraverso la sua attività: 56 dipinti, 3 sculture, 42 disegni, 31 incisioni (le cartelle “Ricercare” del 1973 e “Orizzonti olandesi” del 1974, insieme ad alcune incisioni datate 1974-2001 legate ai dipinti e ai disegni dal 1942 al 2016). Le opere scelte, che provengono dalla collezione dell’artista e da alcune collezioni pubbliche e private, sviluppano metodologicamente la didattica del segno, ovvero l’elaborazione di ogni immagine possibile, il pensiero in dialogo con ciò che possiamo vedere e far vedere. Nel corso della sua lunga carriera, in cui – come l’artista spesso ha sottolineato – grande importanza ha avuto, come elemento originale di confronto e creatività, il “momento” didattico, Strazza ha sviluppato una forte connotazione personale, che ne rende impossibile l’inquadramento in uno qualsiasi dei tanti movimenti che hanno attraversato il dibattito artistico del dopoguerra, al quale ha comunque partecipato con contributi a tutto campo. Il nucleo di opere provenienti dallo studio e collezione dell’artista sarà donato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
Nel corso della sua lunga carriera, in cui - come l’artista spesso ha sottolineato - grande importanza ha avuto, come elemento originale di confronto e creatività, il “momento” didattico, l’artista ha sviluppato una forte connotazione personale, che ne rende impossibile l’inquadramento in uno qualsiasi dei tanti movimenti che hanno attraversato il dibattito artistico del dopoguerra, al quale ha comunque partecipato con contributi a tutto campo. Una delle annotazioni che si possono fare riguardo alle ricerche di questi ultimi anni – come ci dice il curatore - è che il segno, spesso, soccombe al colore. Lo spazio ha perduto ogni mistero, è stato riempito di colore, e il risultato è un non vedere. Ma per l'artista anche il colore è segno, “radicalmente indefinibile e indescrivibile. Senza direzione, curvatura o lunghezza, non ha in sé traccia del gesto né di ciò che fa del segno il costruttore dello spazio. Tuttavia, lo riempie di sentimento. Col colore si costruisce uno spazio psicologico”.
Traspare, da questi concetti, la capacità di risolvere nella sua più matura ricerca la contraddizione sostanziale tra materia e forma, tra precisione e imprecisione. In questo contesto si situa l’interesse, tra il 1964 e il 1969, per la scultura in ferro o in plastica, severa e semplice: “Facendo ‘sculture' - dice Strazza - non ho fatto altro che far segni come in realtà faccio e ho sempre fatto; e posso dirlo se penso al segnare come risposta al richiamo di un fulmineo riconoscere qualcosa che nessuno prima aveva visto, non c'era, e d'improvviso c'è, si fa presenza assoluta e luminosa”.
Michele De Luca
In suo onore la festa alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma
Nel giorno del suo novantottesimo compleanno, Guido Strazza (Santa Fiora, Grosseto, 21 dicembre 1922) viene festeggiato il 21 dicembre alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma con una conversazione con il grande artista conamici, collaboratori e quanti hanno conosciuto da vicino il suo lavoro, in particolare nel corso di questo 2020, e con la presentazione della donazione del suo archivio alla GNAM. L’evento, che si terrà online, sarà l’occasione per ripercorrere in compagnia dell’artista alcuni momenti fondamentali della sua carriera artistica, mettere in luce aspetti meno noti, ricordare aneddoti e, soprattutto, fargli gli auguri.
Guido Strazza è un artista particolarmente legato alla Galleria Nazionale, dove si è tenuta la sua mostra antologica dal titolo “Guido Strazza. Ricercare”, curata da Giuseppe Appella nel 2017. La collezione permanente annovera numerose opere di Strazza, in prevalenza di grafica e libri d’artista, un importante corpus a cui si aggiunge oggi la preziosa donazione del suo archivio personale, che entra a far parte dei Fondi Storici dell’Archivio della Galleria Nazionale. Giuseppe Appella, Carlo Birrozzi, Raffaella Bozzini, Cristiana Collu, Luisa De Marinis, Luigi Ficacci, Micol Forti, Barbara Jatta, Renata Cristina Mazzantini, Francesco Moschini, Giulia Napoleone, Nicoletta Nesler, Claudia Palma, Francesco Scoppola, Alessandro Tosi.
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Mi unisco all’augurio (“ad multos annos!”) al Maestro, che ho avuto l’onore e il piacere di incontrare più volte e di aver curato per lui l’ufficio stampa della mostra che si tenne anni fa al Museo Pericle Fazzini diAssisi, riproponendo l’articolo che scrissi in occasione della mostra alla GNAM curata da Appella, intitolato “Strazza, il percorso di un segno”.
L’attività artistica di Guido Strazza (Santa Fiora, Grosseto, 1922) inizia, appena ventenne, dopo un incontro a Milano con Filippo Tommaso Marinetti, che vede i suoi disegni giovanili e lo invita alle mostre di Aeropittura che si tengono, nel 1942, a Roma, in Palazzo Braschi, e a Venezia, nell’ambito della XXXIV Biennale. E’ un incontro “fatale”, al quale ne fanno seguito tanti altri, che il giovanissimo Strazza, interprete tra i più originali e sensibili della linea lirica astratta italiana del dopoguerra, così rievoca: “Siamo andati avanti così per lungo tempo: appena potevo mi presentavo in quel suo studio stipato di libri e riviste e lo ascoltavo, ogni tanto tirava fuori un volume dagli scaffali e me lo regalava. Mi ha aperto gli occhi sull’arte contemporanea; l’amicizia con quel vecchio maestro era un’esperienza straordinaria, ma io tiravo dritto per la mia strada. Mi sono laureato e ho fatto l’ingegnere per due anni”. Poi la decisione che rivoluziona la sua vita, e cioè la scelta molto coraggiosa di dedicarsi interamente all’arte: nel 1948 si reca in Sud America, spostandosi dal Perù al Cile e al Brasile. A Lima è tra i promotori della “Agrupaciòn Espacio”, l’associazione di architetti ed artisti che lavorano al progetto di ristrutturazione della città di Callao distrutta dal terremoto, e sviluppa un profondo interesse per l’arte preincaica; a Rio de Janeiro conosce Fayga Ostrower, che lo inizia alle tecniche incisorie, e San Paolo, ormai pittore di successo, espone le sue opere nelle Biennali del 1951 e 1953.
Rientra in Italia nel 1954, prima a Venezia e poi a Milano, concentrando la sua ricerca nei “racconti segnici”, nelle lunghe pitture in rotolo (conservate oggi al Museum Ludwig di Colonia) e negli studi sulle metamorfosi delle forme, raccolti poi in una serie di cicli pittorici. Nel ’63 si stabilisce a Roma, dove frequenta i laboratori della Calcografia Nazionale, allora diretta da Maurizio Calvesi, per approfondire il linguaggio dell’incisione, i cui risultati, incentrati sul rapporto cangiante segno-luce (immagini su schermi mobili trasparenti) e, in seguito, sul rapporto luce-geometria (che troveranno compiuta espressione nel ciclo di pitture e litografie “Ricercare” del 1973), verranno esposti alla Biennale veneziana del 1968 in una sala personale. Sarà Carlo Bertelli, divenuto direttore della Calcografia nel 1974, ad invitarlo a impostare una didattica dell’incisione, a cui Strazza si dedicherà con grande passione, competenza ed originalità per due anni, dando testimonianza di questa importante esperienza nel libro “Il gesto e il segno” edito da Scheiwiller nel 1979, mentre il seguito creativo approdava alla realizzazione di grandi cicli pittorici (“Trama quadrangolare”, “Segni di Roma” e “Cosmati”) fino ai più recenti “Archi e Orizzonti”, tutti accolti in eventi espositivi presso prestigiose istituzioni e che gli valgono importanti riconoscimenti, tra cui, nel 2003, il Premio Feltrinelli per l’Incisione.
Guido Strazza è un artista particolarmente legato alla Galleria Nazionale, dove si è tenuta la sua mostra antologica dal titolo “Guido Strazza. Ricercare”, curata da Giuseppe Appella nel 2017. La collezione permanente annovera numerose opere di Strazza, in prevalenza di grafica e libri d’artista, un importante corpus a cui si aggiunge oggi la preziosa donazione del suo archivio personale, che entra a far parte dei Fondi Storici dell’Archivio della Galleria Nazionale. Giuseppe Appella, Carlo Birrozzi, Raffaella Bozzini, Cristiana Collu, Luisa De Marinis, Luigi Ficacci, Micol Forti, Barbara Jatta, Renata Cristina Mazzantini, Francesco Moschini, Giulia Napoleone, Nicoletta Nesler, Claudia Palma, Francesco Scoppola, Alessandro Tosi.
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Mi unisco all’augurio (“ad multos annos!”) al Maestro, che ho avuto l’onore e il piacere di incontrare più volte e di aver curato per lui l’ufficio stampa della mostra che si tenne anni fa al Museo Pericle Fazzini diAssisi, riproponendo l’articolo che scrissi in occasione della mostra alla GNAM curata da Appella, intitolato “Strazza, il percorso di un segno”.
L’attività artistica di Guido Strazza (Santa Fiora, Grosseto, 1922) inizia, appena ventenne, dopo un incontro a Milano con Filippo Tommaso Marinetti, che vede i suoi disegni giovanili e lo invita alle mostre di Aeropittura che si tengono, nel 1942, a Roma, in Palazzo Braschi, e a Venezia, nell’ambito della XXXIV Biennale. E’ un incontro “fatale”, al quale ne fanno seguito tanti altri, che il giovanissimo Strazza, interprete tra i più originali e sensibili della linea lirica astratta italiana del dopoguerra, così rievoca: “Siamo andati avanti così per lungo tempo: appena potevo mi presentavo in quel suo studio stipato di libri e riviste e lo ascoltavo, ogni tanto tirava fuori un volume dagli scaffali e me lo regalava. Mi ha aperto gli occhi sull’arte contemporanea; l’amicizia con quel vecchio maestro era un’esperienza straordinaria, ma io tiravo dritto per la mia strada. Mi sono laureato e ho fatto l’ingegnere per due anni”. Poi la decisione che rivoluziona la sua vita, e cioè la scelta molto coraggiosa di dedicarsi interamente all’arte: nel 1948 si reca in Sud America, spostandosi dal Perù al Cile e al Brasile. A Lima è tra i promotori della “Agrupaciòn Espacio”, l’associazione di architetti ed artisti che lavorano al progetto di ristrutturazione della città di Callao distrutta dal terremoto, e sviluppa un profondo interesse per l’arte preincaica; a Rio de Janeiro conosce Fayga Ostrower, che lo inizia alle tecniche incisorie, e San Paolo, ormai pittore di successo, espone le sue opere nelle Biennali del 1951 e 1953.
Rientra in Italia nel 1954, prima a Venezia e poi a Milano, concentrando la sua ricerca nei “racconti segnici”, nelle lunghe pitture in rotolo (conservate oggi al Museum Ludwig di Colonia) e negli studi sulle metamorfosi delle forme, raccolti poi in una serie di cicli pittorici. Nel ’63 si stabilisce a Roma, dove frequenta i laboratori della Calcografia Nazionale, allora diretta da Maurizio Calvesi, per approfondire il linguaggio dell’incisione, i cui risultati, incentrati sul rapporto cangiante segno-luce (immagini su schermi mobili trasparenti) e, in seguito, sul rapporto luce-geometria (che troveranno compiuta espressione nel ciclo di pitture e litografie “Ricercare” del 1973), verranno esposti alla Biennale veneziana del 1968 in una sala personale. Sarà Carlo Bertelli, divenuto direttore della Calcografia nel 1974, ad invitarlo a impostare una didattica dell’incisione, a cui Strazza si dedicherà con grande passione, competenza ed originalità per due anni, dando testimonianza di questa importante esperienza nel libro “Il gesto e il segno” edito da Scheiwiller nel 1979, mentre il seguito creativo approdava alla realizzazione di grandi cicli pittorici (“Trama quadrangolare”, “Segni di Roma” e “Cosmati”) fino ai più recenti “Archi e Orizzonti”, tutti accolti in eventi espositivi presso prestigiose istituzioni e che gli valgono importanti riconoscimenti, tra cui, nel 2003, il Premio Feltrinelli per l’Incisione.
Lunedì 6 febbraio la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea ha inaugurato la mostra antologica di Guido Strazza (Santa Fiora, Grosseto, 1922), a cura di Giuseppe Appella. L’esposizione ripercorre oltre mezzo secolo attraverso la sua attività: 56 dipinti, 3 sculture, 42 disegni, 31 incisioni (le cartelle “Ricercare” del 1973 e “Orizzonti olandesi” del 1974, insieme ad alcune incisioni datate 1974-2001 legate ai dipinti e ai disegni dal 1942 al 2016). Le opere scelte, che provengono dalla collezione dell’artista e da alcune collezioni pubbliche e private, sviluppano metodologicamente la didattica del segno, ovvero l’elaborazione di ogni immagine possibile, il pensiero in dialogo con ciò che possiamo vedere e far vedere. Nel corso della sua lunga carriera, in cui – come l’artista spesso ha sottolineato – grande importanza ha avuto, come elemento originale di confronto e creatività, il “momento” didattico, Strazza ha sviluppato una forte connotazione personale, che ne rende impossibile l’inquadramento in uno qualsiasi dei tanti movimenti che hanno attraversato il dibattito artistico del dopoguerra, al quale ha comunque partecipato con contributi a tutto campo. Il nucleo di opere provenienti dallo studio e collezione dell’artista sarà donato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
Nel corso della sua lunga carriera, in cui - come l’artista spesso ha sottolineato - grande importanza ha avuto, come elemento originale di confronto e creatività, il “momento” didattico, l’artista ha sviluppato una forte connotazione personale, che ne rende impossibile l’inquadramento in uno qualsiasi dei tanti movimenti che hanno attraversato il dibattito artistico del dopoguerra, al quale ha comunque partecipato con contributi a tutto campo. Una delle annotazioni che si possono fare riguardo alle ricerche di questi ultimi anni – come ci dice il curatore - è che il segno, spesso, soccombe al colore. Lo spazio ha perduto ogni mistero, è stato riempito di colore, e il risultato è un non vedere. Ma per l'artista anche il colore è segno, “radicalmente indefinibile e indescrivibile. Senza direzione, curvatura o lunghezza, non ha in sé traccia del gesto né di ciò che fa del segno il costruttore dello spazio. Tuttavia, lo riempie di sentimento. Col colore si costruisce uno spazio psicologico”.
Traspare, da questi concetti, la capacità di risolvere nella sua più matura ricerca la contraddizione sostanziale tra materia e forma, tra precisione e imprecisione. In questo contesto si situa l’interesse, tra il 1964 e il 1969, per la scultura in ferro o in plastica, severa e semplice: “Facendo ‘sculture' - dice Strazza - non ho fatto altro che far segni come in realtà faccio e ho sempre fatto; e posso dirlo se penso al segnare come risposta al richiamo di un fulmineo riconoscere qualcosa che nessuno prima aveva visto, non c'era, e d'improvviso c'è, si fa presenza assoluta e luminosa”.
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